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IL FORO CELEBRA I 4 MOSCHETTIERI
Premiati i campioni della Coppa Davis 1976

Questo contenuto è stato pubblicato 8 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

C’erano tutti. Il capitano e i quattro giocatori. Anzi, i Quattro Moschettieri del tennis italiano. Quattro giocatori che negli anni 70 hanno cambiato la percezione del tennis in Italia. Da sport d’elite, lo hanno reso una disciplina di massa. La finale degli Internazionali BNL d’Italia è stata la grande occasione per festeggiare i quarant’anni dalla grande impresa del 1976, ancora oggi l’unica Coppa Davis della nostra storia. Un successo storico, a cui si aggiungono le finali ottenute nel 1977 (persa in Australia), 1979 (Stati Uniti) e 1980 (Cecoslovacchia). L’hanno sempre detto, Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli: se avessero avuto l’opportunità di giocarne qualcuna in casa, probabilmente il nostro curriculum sarebbe ben diverso. Ma la storia ci ha regalato la gioia di Santiago del Cile, quando il 18 dicembre 1976 Mario Giobbe e Guido Oddo poterono urlare tutta la loro gioia per un trionfo che qualcuno non voleva neanche farci vivere. Molti ricorderanno l’opposizione di una parte dell’opinione pubblica, che chiedeva il boicottaggio della trasferta in Cile per protestare contro la dittatura di Augusto Pinochet. La squadra, capitanata da Nicola Pietrangeli, fece il possibile per organizzare la trasferta e alla fine si andò. Si andò e si vinse contro Alvaro Fillol e Patricio Cornejo. Avversari alla nostra portata, ma gli azzurri furono bravi a non correre neanche mezzo rischio. E poi si erano conquistati il diritto a sollevare la Davis nei turni precedenti. E allora vale la pena ricordare il percorso che ha portato l’Italia alla conquista della sua unica Coppa Davis.

L’avventura è partita il 30 aprile 1976, contro la Polonia, quando bastarono Panatta e Bertolucci per raccogliere un facile 5-0. Ben più complicato il match di secondo turno contro la Jugoslavia di Niki Pilic e Zeljko Franulovic. Nel weekend del 21-23 maggio, a Bologna, prese forma la squadra che sarebbe poi risultata imbattibile. Adriano Panatta e Corrado Barazzutti in singolare, Panatta-Bertolucci in doppio. Vincemmo 5-0, senza perdere neanche un set. Giusto viatico alla Semifinale Europea contro la Svezia: gli scandinavi erano campioni in carica ma senza Borg. Fatto il suo dovere, quell’anno disertò la Davis e si presentarono al Foro Italico con Ove Bengston, Rolf Norberg e Kjell Johansson (padre di Joachim, top-10 negli anni 2000). Vincemmo 4-0, ma Barazzutti ebbe le sue difficoltà per battere Johansson, domato solo in cinque set. Fu molto complicata la finale europea, contro la Gran Bretagna. Nel weekend del 5-7 agosto, i britannici ci accolsero a Wimbledon, nel vecchio Campo 1 ormai demolito. In quella partita fu fondamentale l’intuizione di Nicola Pietrangeli, che schierò Tonino Zugarelli in singolare al posto di Barazzutti, meno adatto ai campi veloci. Tonino vinse un delicato primo singolare contro Roger Taylor, poi Panatta fece il 2-0 battendo John Lloyd. Per una volta, il doppio perse ma ci pensò Panatta a firmare il 3-1. E’ bello ricordare il successo a Wimbledon perché legittima il ruolo di Zugarelli in quel successo, spesso sottovalutato. Tornammo a giocare in casa per la semifinale mondiale contro l’Australia di Newcombe, Roche e John Alexander. Fu quest’ultimo il nostro spauracchio: vinse contro Panatta il primo giorno e contro Barazzutti alla domenica (in cinque set), ma i nostri singolaristi furono bravi a tenere a distanza Tony Roche. Decisivo il doppio: Panatta-Bertolucci non tradirono lasciando appena dieci game ai mitici Newcombe-Roche, una delle coppie più forti di sempre. A Santiago, nell’Estadio Nacional che 35 anni dopo avrebbe certificato il ritorno dell’Italia nel World Group, soltanto un pizzico di emozione fece perdere un set a Barazzutti contro Fillol e a Panatta-Bertolucci in doppio. Ma ormai la storia era scritta, segnata. “L’Italia ha vinto la Coppa Davis!” esclamò Mario Giobbe. L’Italia stava per scoprire il “colore” che sarebbe arrivato l’anno dopo, ma la TV trasmise gli incontri solo in differita e in bianco e nero. Per fortuna c’era Luigi Oliviero, un videoamatore che ha realizzato una mezz’oretta di immagini a colori che sono diventate ancora più preziose dopo che sono andati persi gli archivi RAI.
L’impresa è stata ricordata in una bella cerimonia svoltasi sul Campo Centrale poco prima della finale tra Novak Djokovic ed Andy Murray. Con la conduzione di Massimo Caputi, e alla presenza di Angelo Binaghi, Giovanni Malagò e Lea Pericoli, i Quattro Moschettieri e il Capitano sono stati premiati con una targa ricordo e si sono presi l’ovazione di un Centrale via via sempre più pieno. I maxischermi hanno proiettato le immagini di Santiago (quelle di Oliviero, appunto) e poi c’è stato un altro tributo video per i successi di Adriano Panatta di quel magico 1976, anche a livello individuale: il 30 maggio vinse gli Internazionali battendo in finale Guillermo Vilas. All’epoca il Centrale era l’attuale Campo Pietrangeli, gremito in ogni ordine di posti e con mini-invasione di campo dopo il matchpoint. E Giampiero Galeazzi subito addosso a Panatta per raccogliere le prime dichiarazioni. Quattordici giorni dopo, il 13 giugno 1976, ci sarebbe stato il successo al Roland Garros in finale sul “sorcio” Harold Solomon, cagnaccio da terra battuta domato in quattro set. Due imprese ancora oggi ineguagliate nell’Era Open (mentre Pietrangeli vinse entrambi i tornei, due volte, in epoca dilettantistica) e celebrate con applausi vigorosi e spontanei da parte del pubblico. Sia quello del 1976 (che aveva tirato un grande sospiro di sollievo per gli 11 match point cancellati a Kim Warwick a Roma e quello annullato a Pavel Hutka a Parigi), sia da quello del 2016. Una bella cerimonia, a tratti commovente, doveroso riconoscimento (dopo quello per le ragazze della Fed Cup) a chi ha fatto così tanto per il tennis e ha contribuito a renderlo così popolare. Li salutiamo ancora una volta: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli.

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