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Sua altezza Cilic
e il bello della terra

Questo contenuto è stato pubblicato 6 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Non è facile essere Marin Cilic. Altezza non è mezza bellezza ma piuttosto ingombro, e quindi movimenti più difficili ed impacciati: “Finché non sono arrivato a Roma non sapevo come stavano le mie ginocchia e lo sto scoprendo come sto giorno dopo giorno, così miglioro la condizione fisica”. Potenza è solo bonus da superfici veloci, con 15 tornei su 17 vinti quando le cose vanno molto rapidamente sul campo da tennis. Tanto che la nobiltà della sua carriera è arrivata finora solo in uno Slam, agli Us Open 2014, che vale di più nell’era dei Fab Four interrotta solo dagli altri maciste Del Potro e Wawrinka. Anche se le altre due finali Majors, a Wimbledon 2017 ed Australian Open 2018, sono finite male per via sempre e soltanto di quel mostro di Roger Federer.

Non è facile essere Cilic, il 29enne di Mediugorje (Bosnia Erzegovnia), che sfiora i due metri d’altezza e ravviva la tradizione dei grandi battitori croati. Perché Marin il buono è l’anti-personaggio, non dà titoli ai giornali, non s’arrabbia mai veramente, è educatissimo e gentile, e sicuramente non ha l’esplosione degna di un ex numero 3 del mondo, oggi comunque 5. Figurarsi sulla terra rossa, dove, qui a Roma, approda per la prima volta ad una semifinale Masters 1000: “Che bello, prima volta a Roma e prima volta in un torneo così importante sul rosso.

Lui che è nato tennisticamente proprio sulla terra e, nel 2005, si è anche aggiudicato il titolo junior al Roland Garros. Lui che, da paladino della, Croazia di Coppa Davis, precisa. “Se scegliamo una superficie contro Stati Uniti ed Australia, di certo prendiamo la terra rossa perché gli avversari ci mettono molto più tempo di noi ad adeguarsi ai rimbalzi e ai movimenti diversi”. Infatti è sul rosso che attende la squadra di Jim Courier nelle semifinali del 14-16 settembre. E sul rosso ha firmato l’ultimo titolo Atp, l’anno scorso a Istanbul, replicando il successo di Umago 2012.

Per giocar bene, tutti gli atleti devono essere al meglio, e questa regola, se possibile, per Cilic, vale ancora di più: “Il fisico è il mio punto critico. Solo la sicurezza atletica mi fa appoggiare meglio le gambe sul suolo, e mi fa spingere e rischiare di più. Non è solo questione di servizio, che pure contro Carreno Busta ha funzionato al meglio sia con la prima che con la seconda, ma anche di risposta, che invece ancora non va benissimo. Una cosa è certa: oggi come oggi, sulla terra rossa, mi sento meglio di sempre, di gioco. Sento che ho recuperato dopo aver fatto un passo indietro per via del problema al ginocchio e prima ancora al polso che non mi hanno permesso di prepararmi al meglio sulla terra”.

Perché la globalizzazione del gioco significa anche caduta dei tabù sui pivot come lui, Cilic il riflessivo, che grazie alla fedina immacolata ha convinto l’Atp che la scivolata all’antidoping era davvero dovuta a una disattenzione della madre: “Più indietro, forse fino a 15-20 anni fa, i più alti avevano solo servizio e un altro colpo, ora, con gente come Del Potro, Anderson e Isner, ci sono giocatori che sono alti, ma possono anche muoversi molto bene e tirare ottimi colpi, da diverse parti del campo. E questo credo sia un grande miglioramento per il tennis in generale”.

E lui la ringrazia proprio la terra: “E’ una superficie dove devi rispedire indietro tante palle di più, anche in allenamento. Io personalmente se devo fare dei set di prova, sul cemento, durano 10-15 colpi, sulla terra un po’ di più, e questo aiuta la mia costanza, la continuità, la consistenza. Mi allena a cambiare più spesso e anche ad aspettare, a volte, e scegliere se devi difenderti o passare al contrattacco. Mi aiuta in generale, anche come fiducia, perché so che posso giocare tanti punti”.
Sempre pacato e dolce, Marin Cilic è stato il primo a qualificarsi alle semifinali di Roma.

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