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Le parole del tennis — i migliori racconti

Leggende romane – Uno strano caso al Foro Italico

Questo contenuto è stato pubblicato 6 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

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0-0

Roma, 15 maggio 2048

Li poteva intravedere, o peggio ancora sentire, già molto prima di arrivare all’ingresso del complesso sportivo del Foro Italico, già lungo il bel viale alberato con i suoi eleganti pini marittimi e la loro chioma ampia, scura, protettiva. Un’ultima curva ed eccoli lì, appostati come iene in attesa , a decine con macchine fotografiche, registratori, telecamere: i giornalisti.
Simpatici, a volte (raramente) spiritosi, preparatissimi con i loro numeri, le loro statistiche, la loro storia del tennis … si sforzava sempre di predisporre la sua mente alle interviste come ad un interessante scambio di opinioni ma ci riusciva solo se a dosi omeopatiche.
E questo perché ormai sapeva come sarebbe andata a finire: prima le domande di routine (come ti senti, ti piace giocare in questo Torneo, quali sono gli avversari a cui guardi con più attenzione …), poi le domande di accerchiamento (ancora una settimana in testa al ranking ATP, se non fosse stato per l’infortunio adesso la situazione sarebbe diversa …), per poi arrivare alle solite due domande finali , già sentite e risentite decine di volte, e ogni volta più assurde fino a cominciare a risultare irritanti (come ci si sente ad essere paragonati alla Leggenda, mancano soli due tornei per eguagliare il record della Leggenda – si, lo sapeva, erano due anni che lo sapeva) .
Doveva elaborare una strategia per evitare di arrivare alle domande indesiderate, e doveva elaborarla alla svelta perché il gruppo si avvicinava. Sprofondato nel sedile posteriore stava ancora rimuginando quando all’improvviso l’autista, con uno scarto del volante da agente segreto, si infilò con l’auto a tutta birra in un vicolo secondario, poi una svolta a sinistra quasi su due ruote e con una accelerata finale degna dell’uscita da un pit-stop di Formula Uno riusciva a imboccare (schiaffeggiando allegramente un paio di cestoni colmi di rifiuti) l’ingresso del personale, evitando così quello degli atleti stipato di giornalisti in attesa.
A volte i problemi si risolvono così – sia nella vita che in campo, a pensarci bene – con una intuizione brillante condita con un piccolo colpo di fortuna. Non poteva far altro che rivolgere, attraverso lo specchietto retrovisore del taxi, uno sguardo di gratitudine a quell’uomo sconosciuto che lo aveva capito senza bisogno di rivolgergli una parola.
Erano parecchi i motivi per essere teso alla vigilia di questo torneo. Tanto per pescarne alcuni nel mucchio: il recente infortunio al polso, i punti persi in classifica per il periodo di riposo forzato, la pressione del belga e dello statunitense al secondo e terzo posto sempre più vicini, i soliti record da eguagliare (e, perché no, superare )e poi Angela …
Ma aveva ancora un settimana di tempo per gli allenamenti prima di iniziare le partite ufficiali, per abituarsi al campo , alla luce, alla percezione dello spazio. E con questo pensiero tornò rapidamente alla realtà del momento.
«Come posso ricambiare? … »
Spuntarono due palline gialle e un pennarello dalle tasche dello stupefacente autista:
«Per i miei nipotini … »

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15-0

Roma, 16 maggio 2048

Era una giornata calda, come possono essere le giornate di fine maggio a Roma quando non spira un alito di vento.
Attraversata una lunga serie di corridoi, sbrigate alcune formalità organizzative, finalmente era riuscito ad entrare nello spogliatoio e aveva iniziato a prepararsi. Inutile nascondere che anche lui aveva una serie di riti scaramantici a cui si sottoponeva ormai automaticamente, soprattutto se la posta in gioco era alta, e questa volta lo era. Voleva vincere, contro ogni tipo di avversario, contro ogni pronostico, contro i record della Leggenda e, alla fine, ancora contro se stesso.
E così si cambiò, per primi i pantaloni, poi la maglia, le calze, prima la sinistra e poi la destra, e infine le scarpe, prima la sinistra e poi la destra. Si stava allacciando la scarpa destra, con un doppio nodo e i lacci infilati sotto la linguetta quando sotto l’armadietto aperto, incastrata tra la cerniera dell’anta e l’ultimo ripiano vide spuntare l’angolo di un piccolo biglietto ingiallito e ripiegato.
Impossibile resistere all’impulso di leggerlo e già alla vista della data che era scritta piccola in un angolo, sorrideva, senza accorgersene: “18.5.18”. Conosceva quella data, anche se all’epoca non era ancora nato. La conosceva per via di sua zia, che gliene aveva parlato spesso quando era bambino usandola come surrogato alle fiabe della buona notte e per iniziare a piantare i primi semi della passione per il tennis.
E poi nel biglietto erano annotati anche un numero di telefono di Roma città, il prefisso era 06, e un indirizzo, gli sembrava abbreviato, e comunque ormai sbiadito e illeggibile.
Avrebbe potuto essere una semplicissimo e insignificante appunto per un incontro, se non fosse stato per quella data: il 18 maggio 2018, quando la Leggenda sparì dal torneo e nessuno riuscì a chiarire, all’epoca e anche in seguito, cosa fosse accaduto in quei due giorni. Non fu così possibile giocare la finale e il trofeo non venne attribuito.
Se sua zia fosse stata lì non avrebbe esitato un attimo a comporre il numero di telefono, ma lui era più riflessivo, faceva l’elenco mentale dei pro e contro, soppesava, ri-soppesava, il “ragioniere delle decisioni” lo chiamava Angela. In effetti glielo avevano detto in tanti, incluso il suo allenatore: doveva diminuire il tempo di reazione agli Imprevisti, sì con la i maiuscola, cioè proprio quegli eventi che succedono e tu mai e poi mai ti saresti aspettato. Poteva capitare a volte anche in campo, quando un avversario inventava un colpo talmente al di sopra delle proprie capacità tecniche che per un intero game lui restava intontito, e puntualmente lo perdeva. Così decise di diminuirei suoi tempi di reazione agli Imprevisti e compose il numero, quasi senza respirare.
«Pronto? »
«Pronto! L’ancora per due giorni ispettore di polizia Romeo Bucci. Chi parla? »
Ispettore? Polizia? La cosa si faceva sempre più intrigante. Cercando di mantenere la calma e di non mostrarsi troppo sorpreso continuò a parlare allo sconosciuto.
«Non posso dirle il mio nome per il momento, ma vorrei poterla incontrare di persona. Quando mi vedrà, capirà. »
L’accento straniero, la strana inquietudine, la perentoria pretesa di anonimato, la giornata soleggiata e calda: tutto si mescolò rapidamente nel subconscio dell’ispettore che venne catapultato in un istante ad un tranquillo pomeriggio di trent’anni prima.

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15-15

Roma, 17 maggio 2048

Erano seduti faccia a faccia a un tavolo di una tipica osteria romana, nell’angolo più buio e umido per non dare nell’occhio e perché l’ispettore apprezzava sempre la possibilità di poter dare un tocco teatrale ad ogni momento della sua vita. E quale migliore occasione di questa? Trent’anni prima, da giovane e sprovveduto com’era, aveva trascorso i due giorni più strani della sua vita con una leggerezza e un’incoscienza di cui si era pentito più volte in seguito. Ma adesso era deciso a gustarsi ogni occasione e ogni momento condendoli con tutte le spezie e gli aromi a sua disposizione presi direttamente dalla dispensa delle sue letture; era un instancabile lettore, di quelli con la matita in mano che sottolineano le belle frasi e soprattutto le belle battute per poterle, alla prima occasione, usare nella vita reale. E forse una di queste occasioni gli stava capitando proprio in quel momento, ironicamente proprio a un giorno dalla pensione, con quel giovane sportivo seduto davanti, con un biglietto in mano che lui conosceva bene perché lo aveva scritto lui stesso tanto tempo fa.
Ordinò due bicchieri di Frascati che non sapeva se il giovane avrebbe bevuto o meno, ma lui sicuramente sì che l’avrebbe bevuto e subito, fresco, prima che il caldo ne appannasse il gusto allegro e il profumo fruttato. Il ragazzo stava lì, silenzioso, chiaramente in attesa che lui parlasse. L’ispettore, che di tennis non sapeva e non aveva mai saputo niente, il nome del ragazzo lo conosceva solo perché era un grande campione ed era famoso ovunque, e poi faceva anche qualche pubblicità che però lui non ricordava perché era roba per giovani. Mezzo mondo avrebbe dato chissà cosa per essere al suo posto e invece lui pensava che per la seconda volta nella sua vita un grande campione di tennis gli capitava tra i piedi e lui avrebbe finito col non chiedergli neanche un autografo. Scuotendo la testa iniziò a spiegare i fatti che lo avevano portato a scrivere quel biglietto.
Raccontò di come, trent’anni prima, al commissariato di polizia arrivò la segnalazione di un sospetto pedinamento ai danni di uno sportivo famoso nel bel mezzo di in torneo internazionale, di come il caso venne affidato a lui che era, già allora, il più serio e discreto dei commissari, di come la sera in cui lui si stava recando al Foro Italico venivano ritrovate le due guardie di sicurezza addette alla sorveglianza dei trofei in gravissime condizioni, uno con un trauma cranico e uno quasi morto in ospedale per dissanguamento poiché gli avevamo sparato colpendo l’aorta femorale, di come avesse deciso immediatamente di nascondere in un luogo sicuro il campione di tennis dopo aver ascoltato la descrizione dei pedinamenti, di come gli avesse lasciato il suo numero di telefono per ogni necessità. Le parole iniziavano a scorrere come un fiume in piena e l’ispettore si ritrovò a snocciolare anche i dettagli di come fosse stato impossibile risalire agli autori dell’aggressione (un vero lavoro da professionisti, nemmeno un capello era stato ritrovato dal RIS), di come nessuno avesse mai capito i reali motivi di quella sanguinosa intrusione, di come si fosse deciso di non giocare la finale e di non assegnare il trofeo.
Il ragazzo ascoltava sempre più silenzioso e assorto, il berretto da tennis calato sulla fronte, gli occhiali scuri per non farsi riconoscere. A grandi linee riusciva a ritrovare il racconto della zia dove ovviamente i particolari non coincidevano perché le storie romanzate per un bambino non coincidono mai con la cruda verità della vita. E poi la questione delle guardie e della Leggenda nascosto chissà dove non erano mai state divulgate, ma adesso il quadro iniziava a prendere forma.

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30-15

Roma, 18 maggio 2048

Ci aveva pensato senza volerlo tutta la notte, sicuramente anche mentre dormiva perché appena sveglio aveva avuto l’impulso di leggere la prima pagina del giornale che gli arrivava puntuale in camera con la colazione, come se fosse il 18 maggio di 30 anni fa. La Leggenda aveva superato i quarti del Torneo e quello che sarebbe stato il suo avversario in semifinale si era dovuto ritirare per un infortunio, quindi tutti si aspettavano una fantastica partita la domenica a venire con la Leggenda alla conquista dell’ennesimo trofeo.
E invece … tre giorni di buio totale, il grande tennista impossibile da rintracciare, la finale annullata. Adesso sapeva anche dell’aggressione alle guardie, a prima vista inspiegabile ma che ovviamente una spiegazione doveva avercela. Quali motivazioni spingono a compiere un qualsiasi atto criminale? Di solito sono riconducibili sempre a tre: denaro, amore, potere. In questo caso si sentiva di poterne escludere almeno due con facilità: amore e potere, poco relazionabili ad un torneo di tennis. Restava il denaro. Sì, ma quale denaro, e poi quanto denaro serve per scomodare dei professionisti come quelli che avevano agito al Foro? Eccolo ancora a soppesare i pro e contro, ecco il tarlo che si insinua nella mente, sapeva che non sarebbe riuscito a smettere di pensarci e guardò ancora una volta il numero di telefono sul biglietto. Avrebbe chiamato l’ispettore dopo l’allenamento.
Per questo poco prima di pranzo squillò il telefono dell’ispettore Bucci, in una stanza al cui caos abituale si sommava quello degli scatoloni per l’imminente trasloco.
Era il suo ultimo giorno in quell’ufficio, si guardava intorno con malinconia ma nessuno dei suoi colleghi se ne accorgeva perché lui era malinconico da parecchio tempo, più o meno da quando aveva messo piede per la prima volta in commissariato. Faticò a riesumare il ricevitore da sotto una pila di documenti ancora da catalogare e archiviare, ma non faticò a riconoscere la voce del giovane tennista che arrampicandosi tenacemente sugli specchi della propria immaginazione, tentava di trovare un nesso tra il pedinamento della Leggenda e l’aggressione alle guardie. Una parola ritornava ciclicamente nel discorso di per sé un po’ sconclusionato: denaro, denaro, denaro. Il ragazzo voleva a tutti i costi collegare i fatti di trent’anni fa con una lunga, contorta e pericolosa scia di denaro. Lo aveva lasciato parlare, perché anche a lui i casi irrisolti e in più francamente inspiegabili lasciavano l’amaro in bocca, ma con l’età quell’amaro aveva imparato a sciacquarlo con un bel bicchiere di vino. Era sempre stato oberato di lavoro, e non era sempre riuscito ad arrivare fino in fondo alle sue indagini. Non riusciva ad immaginare il suo domani senza tutta questa realtà che gli piombava addosso lasciandolo spesso a corto di fiato, senza le brutte notizie da dare e da ricevere, senza le battute da caserma dei delinquenti abituali, senza sentire la fondina piena sotto l’ascella, e per questo acconsentì. Acconsentì ad un altro incontro, acconsentì ad aiutare il giovane tennista a rintracciare il vecchio trofeo per poterlo esaminare (il fatto che non fosse stato rubato non significava che non potesse essere stato in qualche modo manomesso), acconsentì a dedicare un po’ del suo tempo a un ficcanaso che avrebbe potuto mettere in discussione le sue vecchie indagini.
Riattaccò il ricevitore. E subito gli venne in mente una delle sue citazioni preferite, del suo scrittore preferito, che amava leggere quando le serate diventavano insopportabilmente solitarie: „Si possono fare moltissimi errori perfino in una vita sola.“, e forse lui ne stava commettendo uno.

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30-30

Roma, 19 maggio 2048

L’ispettore Bucci si svegliò più tardi del solito e per questo quasi di buon umore, ma si rabbuiò immediatamente al pensiero di non dover più andare in commissariato: ex ispettore di polizia, in pensione da oggi. Doppia razione di caffè e anche di zucchero, tanto per cominciare. Poi una rapida occhiata alla casa: un disastro ovunque, la rapida occhiata andò a spegnersi nell’unico angolo spoglio del piccolo appartamento dove, su una pila di vecchie guide telefoniche, troneggiava un televisore impolverato. Lo accese, e per non sentirsi troppo una casalinga in pantofole cercò il canale delle news, trovandolo solo dopo aver saltato, incredulo, un numero imprecisabile di programmi di cucina. Immagini e notizie di politica, cronaca nera, sport si susseguivano a gran velocità.
La caffettiera stava borbottando stanca sul fornello e l’ispettore si accingeva a usare l’ultima tazzina pulita del suo arsenale quando la cronista ricordò che quel giorno cadeva l’anniversario della sanguinosa rapina alla Suisse Bank di Zurigo del 19 maggio 2018.
Anche il giovane tennista stava guardando il canale delle news, soprattutto perché non parlava bene l’italiano e le notizie con i sottotitoli erano il programma che riusciva a seguire meglio. Anche lui sentì della rapina, non ne sapeva quasi niente e così si fermò per ascoltare con attenzione: un gruppo armato fino ai denti era entrato nella più grande filiale della Banca a Zurigo, aveva preso sei ostaggi e si era trincerato nel caveau e da lì non era più uscito. Inutili tutti i tentativi di mediazione, dopo 48 ore erano intervenute le forze speciali, ma il bilancio finale fu decisamente tragico: quattro ostaggi e quattro rapinatori morti, cinque agenti feriti. Non sfuggì in quel momento al ragazzo la strana coincidenza che la Leggenda fosse svizzero e che i giorni della rapina coincidessero con quelli del pedinamento, della scomparsa forzata dell’atleta e dell’aggressione alle guardie del Foro Italico. A quel punto una certa impazienza cominciò a impadronirsi di lui, era diventato sempre più ansioso di rivedere l’ispettore, di discutere con lui dell’intuizione che aveva avuto per capire se ci fosse un qualche barlume di logicità o se era solo il frutto di una giovane mente sovraeccitata.
Non riusciva più a rimanere nella stanza d’albergo, si vestì in fretta e furia e uscì per le strade luccicanti di Roma, dove la gente, il traffico, lo travolsero impedendogli di rimuginare ancora sui propri pensieri. Mimetizzato tra i folti gruppi di turisti bighellonò un paio di ore per la città, finché l’ora di pranzo finalmente lo portò alla stessa osteria di due giorni prima. Aveva fame e fu contento di trovare l’ispettore già seduto al tavolo con tanto di vino e carciofi fritti in bella mostra. Lasciò ordinare l’ispettore, che optò per un classico cacio e pepe, prima di iniziare a imbastire la sua teoria sui fatti accaduti nel 2018.
L’ispettore ascoltò con calma che il ragazzo terminasse di farneticare. Non si aspettava assolutamente niente da quell’incontro, era solo un modo per non pranzare da solo nel suo primo giorno da pensionato. Non avevano risolto il caso trent’anni fa e di sicuro non l’avrebbero risolto adesso. Conosceva bene i vantaggi del pessimismo: „un pessimista va incontro solo a sorprese piacevoli, mentre un ottimista ne ha soltanto di spiacevoli“, e siccome lui detestava le sorprese spiacevoli era arrivato a considerare l’ottimismo una specie di virus da evitare a tutti i costi. Osservava il suo bicchiere di vino, al solito indecifrabile se mezzo pieno o mezzo vuoto, lo fissava per non guardare il ragazzo che si aspettava da lui una qualche conclusione sulle sue teorie, sulla sua convinzione di aver avuto un colpo di genio o di fortuna perché aveva trovato il filo invisibile che legava dei fatti altrimenti inspiegabili.

6

40-30

Roma, 20 maggio 2048

Aveva bisogno di ricapitolare i motivi per cui si trovava in macchina con un famoso tennista per le vie di Roma alla ricerca dello studio di un notaio.
Durante il pranzo del giorno prima aveva dovuto sorbirsi le elucubrazioni del ragazzo sullo strano caso del pedinamento di un tennista svizzero e della tentata rapina a Zurigo; a questo si doveva aggiungere l’aggressione alle guardie di sicurezza dei trofei, shakerare il tutto, e cosa ne usciva? uno stravagante piano per ottenere una quantità smodata di denaro. La teoria del ragazzo era al limite dell’assurdo, ma poiché come insegnavano i vecchi maestri: „Quando hai escluso l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, è la verità“ eccolo in macchina di prima mattina alla ricerca del vecchio Trofeo.
Sì, perché l’anello mancante era proprio quello: il Trofeo. Per quanto non mancasse di immaginazione il giovane atleta non era riuscito ad individuare quale ruolo potesse avere quell’oggetto nel piano criminale. L’unico modo per scoprirlo era esaminarlo attentamente e individuare eventuali indizi sfuggiti alle indagini di trent’anni prima. Più facile a dirsi che a farsi. Il vecchio Trofeo infatti, era stato battuto all’asta due anni fa, non un’asta qualunque ma un’asta di beneficenza in favore di diverse organizzazioni internazionali di aiuti umanitari e gli acquirenti erano rimasti anonimi. Sarebbero quindi dovuti andare all’ente che aveva organizzato l’asta, chiedere un milione di favori, sperando di non incappare in qualche impiegato intransigente e tutto questo aveva quasi fatto desistere l’ispettore, ma il ragazzo aveva sfoderato un aggeggio elettronico e in un attimo si era collegato in rete. Sperava di avere a che fare con uno di quei collezionisti che condividono le loro “conquiste” con tutti, per puro entusiasmo o magari solo per esibizionismo. E infatti trovò, senza neanche fare troppa fatica, il Trofeo nell’affollatissima pagina facebook di un notaio romano. Tra maglie autografate, palloni di partite storiche, mazze da baseball, pettorine da sci, fotografie d’epoca e molto altro ancora il notaio si poteva definire senza dubbio un grandissimo appassionato di cimeli sportivi, ma alla vista del famoso tennista alla sua porta che chiedeva di entrare non poté fare a meno di lanciare un grido di sorpresa.
All’ispettore il collezionismo era sempre sembrato roba da ricchi eccentrici o da squattrinati fuori di testa, ma siccome un paio di fotografie col ragazzo e una decina di autografi sugli oggetti più disparati (perfino un pacchetto di fiammiferi …) bastarono a dar loro accesso alla teca contenente il Trofeo, fu più che contento di essersi imbattuto in un collezionista. Mentre il notaio si affrettava con l’irrefrenabile entusiasmo di un bambino la sera di Natale ad aggiungere i nuovi cimeli alla sua lista online e ad imbastire chissà quale baratto, loro due rimasero soli ad esaminare la coppa che appariva in perfetto stato.
La osservarono attentamente da ogni lato, sopra, sotto, dentro e fuori ma non riuscirono a trovare niente. Su un tavolo l’ispettore vide una lente di ingrandimento e la usò per una seconda analisi: non c’era niente altro di sospetto se non una minuscola traccia di colla su un lato della base in di pietra grigia del Trofeo. I due si guardarono per un breve istante e senza bisogno di scambiarsi nemmeno una parola scattarono contemporaneamente alla ricerca di un qualcosa di affilato. Fu il ragazzo a trovare per primo un tagliacarte che porse all’ispettore: con una leva rapida e precisa la base del piedistallo si staccò e all’interno i due scorsero un piccolo oggetto nero di plastica fissato con del nastro adesivo.

7

GAME

Roma, 21 maggio 2048

L’ispettore Bucci si sentì comparire sul viso, irrefrenabile, un sorriso, “il sorriso di soddisfazione di un gatto che si è leccato tutto un piattino di latte”, proprio così se lo sentiva perché il caso era risolto e perché era una soluzione che non solo sarebbe stata inimmaginabile trent’anni fa ma oltretutto ormai non serviva più a nessuno, e la cosa lo faceva sbellicare.
Finalmente si concedevano un bel bicchiere di vino bianco in uno di quei localacci sul lungo Tevere dove l’anonimato del campione di tennis era più che al sicuro, più che in un caveau di una banca svizzera. L’analogia calzava a pennello, perché era proprio quello il nocciolo della questione. Con l’aiuto di un tecnico informatico, ex collega dell’ispettore, avevano decifrato il contenuto della chiavetta: si trattava di codici per l’apertura di un sofisticato sistema di sicurezza bancario. Ed ecco che i contorni del folle piano avevano cominciato a delinearsi con sempre maggiore chiarezza: il Trofeo contenente la chiavetta nelle mani della Leggenda svizzera, il passaggio di frontiera sicuramente indolore e un chissà quale fortunoso recupero dei codici in Svizzera che avrebbero portato ad una ben diversa conclusione della tristemente famosa rapina. Sarebbe stato interessante provare a ricostruire quello che dovevano aver passato i rapinatori asserragliati in banca in attesa dei codici da parte di qualche misterioso complice, perché di questo erano certi tutti anche all’epoca dei fatti: qualche delinquente mancava all’appello e forse proprio la mente che aveva escogitato tutto il piano.
L’ispettore rigirava la chiavetta USB tra le dita della mano sinistra, indeciso sul da farsi. Poi, senza proferire parola, la gettò nel fiume che scorreva lentissimo e imperturbabile.
L’avventura si concludeva così, senza troppe formalità, come del resto era cominciata. Avevano qualcosa in comune i due uomini all’apparenza così diversi, un amore innato per le cose pulite, semplici, efficaci ma senza fronzoli. Così aveva amato lavorare l’ispettore e così amava giocare a tennis il ragazzo. Si alzarono dalle sedie e si salutarono con una vigorosa stretta di mano. Poi ognuno andò per la sua strada, tornando alla propria vita.
Un vecchio pensionato, così aveva cominciato a sentirsi negli ultimi giorni l’ispettore, alleggerito di arma e distintivo, avviandosi passeggiando con calma verso casa concedendosi il lusso di guardarsi intorno senza scopo ma per puro piacere. Era padrone del suo tempo e deciso a trovarsi un hobby coi fiocchi: escluse i viaggi, il bridge e il golf con un fremito di orrore, escluse un cane, il giardinaggio e la pesca con una scrollata di capo e alla fine pensò che forse si sarebbe dedicato alla scrittura. Magari i fatti di quella settimana avrebbero potuto essere una prima ispirazione e si voltò per dare un ultimo sguardo al ragazzo che lo aveva coinvolto in un’indagine a dir poco originale. Ormai era già lontano e lo riconobbe solo perché era venti centimetri più alto di tutti gli altri.
A grandi falcate il giovane tennista stava raggiungendo un grande viale alla ricerca di un taxi, voleva tornare al Foro per osservare ancora i campi e ritrovare la concentrazione per le partite che lo aspettavano. Mentre camminava rifletteva su come fosse difficile decifrare la luce che splendeva a Roma, diversa da ogni altro posto che conosceva, era come se piovesse dal celo e rimbalzasse sulla bellezza della città fino a diventare così chiara e rarefatta da accecare.
Camminare per una città straniera in incognito, il turbinio degli eventi in cui si era trovato coinvolto, il simpatico ispettore tutto citazioni di vecchi classici del giallo … gli sembrava quasi di essere stato il protagonista di un film o, meglio ancora, di un libro.

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