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Gianni Clerici per sempre: intitolata al grande ‘scrittore di tennis’ la Sala Stampa degli IBI

Gli Internazionali BNL d’Italia celebrano la grande firma de “Il Giorno” e de “La Repubblica”, autore della bibbia “500 anni di tennis” e di tanti romanzi, scomparso nel 2022. Un maestro di giornalismo che ha un posto anche nella Hall of Fame del tennis a Newport

Questo contenuto è stato pubblicato 12 mesi fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Gianni Clerici per sempre: gli Internazionali BNL d’Italia hanno intitolato oggi ufficialmente la loro Sala Stampa al grande “scrittore di tennis” comasco, scomparso il 6 giugno dello scorso anno. Uno “scriba”, come amava autodefinirsi, che tutto il mondo ci ha invidiato e ha celebrato nel 2006 con l’inserimento nella Hall of fame del tennis, nel tempio storico di Newport. Solo due italiani in quell’elenco di immortali: Nicola Pietrangeli per la sua grandezza tennistica (con 2 titoli al Roland Garros, le 164 partite in Coppa davis, i 2 successi a Roma) e proprio Gianni, con il suo leggendario volume 500 anni di tennis (in cui raccontava e documentava le origini del gioco nel periodo Rinascimentale), tradotto in tutto il mondo.

Non è un caso che al Foro Italico dunque ci sia, dopo un Campo Pietrangeli, anche una Sala Stampa Gianni Clerici. Ispirarsi alle gesta dei grandi è da sempre il miglior modo per puntare all’eccellenza. Intere generazioni di giovani giornalisti dedicati al tennis hanno sognato di diventare un giorno come Clerici ma siccome i fuoriclasse sono inimitabili, chi più si è applicato nel coglierne gli insegnamenti mettendoli a frutto ha trovato una propria via originale, diversa dalla sua. E c’è riuscito proprio grazie alla sua lezione.

Dunque viene spontaneo domandarsi: che cosa abbiamo imparato da Gianni Clerici? Tralasciamo il piano umano, culturale, estetico, lessicale ecc. ecc.: gli spunti sarebbero infiniti. Concentriamoci sul modo di Gianni di raccontare il tennis, che è il motivo per cui lettori e aspiranti cronisti sono stati catturati da lui per oltre mezzo secolo, traendone piacere, divertimento anche, spunti di riflessione e di discussione ma soprattutto un grande godimento, che è il regalo più bello che ci ha fatto.

Per chi voleva seguirne le orme, cercare di imitarlo si è sempre rivelato inutile, impossibile, controproducente. Come provare a essere un clone di Federer. Nel suo caso è più utile (e praticabile, se si hanno ambizioni di questo genere) seguire l’insegnamento zen del saggio Ma-Tzu (chissà, questa ti sarebbe piaciuta Gianni…) quando dice: “Non seguire le orme dei maestri. Cerca ciò che loro hanno cercato”.

E dunque: che cosa cercava di fare Gianni clerici ogniqualvolta si trovava di fronte al compito di parlare di una partita di tennis e dei suoi protagonisti? La risposta si trova in una frase ironica del suo grande compagno di telecronache Rino Tommasi: “Gianni magari si dimentica di dirti chi ha vinto. Ma sa sempre spiegarti perché”.

Ecco: un signore che è nato nel 1930 e ha cominciato a scrivere di tennis nel 1956, ha sempre fatto, sin da un’epoca giornalistica che oggi sembra il paleolitico (la carta è morta e nelle edicole c’è chi vende insalata di riso e macedonia) qualcosa che è più che mai attuale, modernissimo. Allora di sicuro sconvolgente.

La sua attenzione non si concentrava sul risultato, come se desse per scontato che chi lo leggeva, il giorno dopo sul giornale, sapesse già (tramite televisione o radio) come era andata a finire la partita. Quello che lui si proponeva era di raccontare con la maggiore verità possibile e la migliore forma, ciò che era effettivamente successo sul campo: approccio psicologico, scelte tattiche in funzione di soluzioni tecniche, paure, motivazioni, questioni esistenziali. Il suo tentativo era rendere la scena nel modo più vero e al tempo stesso originale. Qualche volta sceglieva di inscenare una rappresentazione teatrale che diventava più vera del racconto delle palle break, delle percentuali di servizio. Per cui il succo dell’impresa o del tracollo, di McEnroe o Borg, di Agassi o Sampras, di Federer o Nadal, magari te lo raccontava in tizio che incontrava in ascensore o a colazione in hotel, prima di recarsi sul Centre Court di Wimbledon o al Roland Garros.

Il giorno dopo la scomparsa di Gianni, Massimo Gramellini scriveva sul Corriere della sera, “la verità è che dopo aver letto il suo pezzo ti sentivi meglio”, e questo è merito della sua capacità di scrittore di generare bellezza con le parole. Più affascinante ancora è il fatto che, nel produrre questa bellezza letteraria, non perdesse mai di vista la verità tecnico/sportiva: aveva giocato a tennis e capiva del gioco a un livello che gli permetteva di essere affidabile nello spiegarti perché quel giorno quella partita era andata così. Ma soprattutto ci riusciva perché quello era il suo obbiettivo. Cercava la vera storia della partita e degli attori in essa impegnati. Andava sempre a grattare sulla superficie dei risultati, dei dati, per capire, per andare in profondità. E proprio per questo non si dava pace che un tipo emotivo e psicologicamente delicato come Roger Federer non avesse letto Freud, dunque non avesse provato a grattare sotto la superficie dei suoi tentennamenti su storici match-point.

Gianni Clerici in campo a Wimbledon insieme a Orlando Sirola contro gli australiani Hartwig e Rose

A pensarci bene, oggi che il modo di informarsi è istantaneamente dominato dai livescore, con enormi quantità di statistiche e rilevamenti messi a disposizione di chiunque, l’approccio di Gianni Clerici risulta moderno e attuale più che mai. Chi ha vinto lo sappiamo tutti già. Lo sappiamo in tempo reale. E siamo in grado di risalire in un pico-secondo anche ai grafici con la palla break decisiva, le percentuali di punti “con la prima”, gli scambi da 0a 4 colpi, da 5 a 9 colpi (chi ne ha vinti di più).

E’ sempre più raro però trovare qualcuno, attendibile, che spieghi come e perché. Le televisioni si affidano ai talent, quasi sempre ex -giocatori, confidenti che loro siano all’altezza del compito. Ma i talent non sono quasi mai giornalisti, né scrittori: per spiegare servono le parole.

La lezione di Gianni Clerici è dunque sempre attuale, forse ancora più attuale oggi che ai suoi libri antichi, alle sue fonti da biblioteca abbiamo sostituto la rete e wikipedia: provare a raccontare come e perché qualcuno ha vinto una partita, scrivere la storia che è sottesa a quel 3-6 6-4 7-5, far uscire l’umanità dei protagonisti. Cercare la verità anche in una storia così minuta, puntuale: qualche ora di vita su un campo da tennis, a picchiare una pallina dentro le righe, cercando di fare in modo che l’altro non riesca a prenderla.

Questo si può cercare di farlo, anche senza essere Gianni Clerici. Ed è già qualcosa che di sicuro lui apprezzerebbe, perché ci vedrebbe sotto una ricerca di informazioni, di riflessioni, di competenze, non banale. Il richiamo a questo modo di fare giornalismo da oggi arriverà ogni giorno entrando nella Sala Stampa Gianni Clerici.

Poi resta il problema della scrittura, dell’originalità, della bellezza che portavano nel suo caso a quel “sentirti meglio dopo aver letto il suo pezzo”. Questo è tutto un altro paio di maniche. E, purtroppo, nell’epoca in cui bisogna scrivere “SEO”, perché i robottini di Google mettano il tuo articolo in cima alle ricerche, viene da chiedersi dove sarebbero finiti gli articoli di Gianni Clerici, con la parola colta, il neologismo e la ripetizione proibita. Quelli con più verità dentro. Ma questa è un’altra storia, di cui lui ora ha la fortuna di non doversi più occupare.

Understatment per sempre

Sulla targa che intitola a Gianni Clarici la sala Stampa degli Internazionali BNL d’Italia questa sua frase che ne conserva per sempre l’ironia e la passione per il tennis:

“Oh beh, io sono un ricco che ha vissuto felicemente giocando a tennis. Faccio il giornalismo non per brama di denaro ma perché mi diverte andare in giro a vedere qualche torneo”.

A celebrare l’intitolazione della Sala Stampa degli IBI a Gianni Clerici, da sinistra, Nicola Pietrangeli, Vito Cozzoli, Giuliano Amato e Lorenzo Fiordelmondo. Foto Giampiero Sposito

A svelarla oggi al Foro Italico c’erano Nicola Pietrangeli, l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, l’AD e presidente di Sport e Salute Vito Cozzoli e il sindaco di Jesi Lorenzo Fiordelmondo, che ha portato a Roma le storiche balette rinascimentali, ritrovate nei lavori di restauro del pozzo di Palazzo della Signoria. Fu proprio Clerici a evidenziarne l’importanza storica e a stimolare la creazione di quel “Club delle balette”, finalizzato al recupero della tradizione storica italiana della pallacorda (antenata del tennis), di cui era Presidente Onorario.

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