
Questo contenuto è stato pubblicato 2 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.
La fiducia è una maledetta arma a doppio taglio. Quando vinci pensi di non poterla mai smarrire, se perdi inizi a convivere con il terrore di non poterla ritrovare mai più. In un Campo Centrale non ancora del tutto vestito a festa per la partite delle partite, quella tra Jannik Sinner e Stefanos Tsitsipas, si ode il ruggito della tigre Sabalenka. Dopo due sconfitte in poche settimane (prima a Charleston, poi a Madrid), Aryna da Minsk è finalmente riuscita a sfatare il tabù Anisimova, strappando il pass per le semifinali della 79esima edizione degli Internazionali BNL d’Italia.
“In tutti i match che perdo – aveva detto qualche tempo fa la numero 8 del mondo – sono sempre io a complicarmi le cose. Ho soltanto bisogno di concentrarmi su me stessa e fare meno errori che vincenti”. Appena 49 minuti in campo con la cinese Zhang Shuai (6-2 6-0), poi altri 69 con l’americana Pegula (6-1 6-4), numero 11 del mondo. Nel suo secondo quarto di finale nella Città Eterna, l’11esimo in un WTA 1000, ha avuto bisogno di più tempo. 4-6 6-3 6-2 in un’ora e cinquantatre minuti ma ha vinto lei, perché lo voleva di più. Se questa non è fiducia, diventa complesso capire cos’altro lo sia.
Il canovaccio del match, se così si può dire, era già chiaro alla vigilia. Forte, anzi fortissimo, sanno tirare entrambe. Pochi minuti e giù, via al braccio di ferro. I puristi dell’estetica avranno preferito girare a largo ma il tennis del terzo millennio, salvo rare eccezioni, è questo: prendere o lasciare. Imprevedibile come poche, Aryna è l’esempio perfetto della giocatrice che “quando è in giornata batte tutte”. È esplosa nel 2018, stagione iniziata da n.78 e chiuda in 11esima posizione, dando la sensazione di poter spaccare ogni palla e piazzare un vincente (a Montreal 2018, contro Wozniacki, ne mise a segno addirittura 64). Ha lavorato tanto, soprattutto sulla parte mentale, senza però essere ancora riuscita a trovare una quadra. Basti pensare, ad esempio, ai numerosi doppi falli commessi nelle prime uscite stagionali (51 nelle prime tre partite dell’anno). “Questo non è il mio servizio – spiegava Sabalenka ai giornalisti durante il torneo di Adelaide –, basterebbe vedermi durante una sessione di allenamento. È tutto qui, nella testa”.
Già, la testa. Quella sulla quale ha lavorato per anni coach Tursunov (ex n.20 ATP) e che dopo diversi tira e molla e diventato il principale argomento delle giornate del bulgaro Anton Dubrov, passato da sparring ad allenatore.
Quando gioca così, arginarla diventa impossibile o quasi.
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