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Beatrice Ricci, un’artista al Foro Italico: “Adoro Federer e la musica vintage, come il mio tennis”

Intervista alla toscana Beatrice Ricci che ha giocato per la prima volta al Foro Italico in occasione delle pre-qualificazioni degli Internazionali BNL d’Italia

Questo contenuto è stato pubblicato 12 mesi fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Si allenava con la musica, Beatrice Ricci. E l’armonia la porta anche in campo, con un tennis creativo, vario, che alterna veloci accelerazioni da fondo a palle corte, volée smorzate, pallonetti. Un repertorio insieme moderno e vintage, estroso e sempre più inusuale. “Sono appassionata di musica e film vintage, e il mio gioco per certi aspetti lo è” confessa Ricci, che si descrive “estrosa, gentile e passionale”.

Non vuole dire di essere particolare o stravagante. Di sicuro il suo tennis colpisce come i concetti che esprime, alternati a timidi, lunghi silenzi.

Oggi numero 717 del mondo, Ricci ha vinto l’anno scorso il suo primo titolo ITF al W15 di Solarino. Alle pre-qualificazioni si è fermata ai quarti di finale, ma la sua prima volta al Foro Italico le lascia sensazioni positive e grande fiducia per il futuro. L’abbiamo incontrata al Foro in occasione delle pre-qualificazioni.

“L’ambiente, l’atmosfera qui sono unici. Giocare sui campi dove si gioca uno dei tornei più importanti del mondo è speciale” ha detto la ventenne di Massa, già campionessa italiana Under 16 che da junior ha vinto due trofei consecutivi di categoria G4 ad Algeri.

Internazionali BNL d’Italia 2023 Prequalificazioni Roma 04/05/2023 Beatrice Ricci Foto Giampiero Sposito

“Sto lavorando tanto, visto che un tennis estroso, insieme al mio allenatore sull’ordine. Sull’obiettivo di automatizzare gli schemi di inizio gioco. Poi l’estro fa parte di me per chiudere il punto. Da inizio anno mi alleno con Alessandro Piccari” nella sua Scuola Tennis di Anzio dove fa base anche Lucia Bronzetti.

La musica fa parte della sua vita, ci spiega. Ma non le piace ascoltarla prima delle partite. “Sono molto appassionata, mia mamma ha fatto il conservatorio di pianoforte e mi ha sempre istruito sulla musica di un certo tipo, non riesco ad ascoltarla prima di entrare in campo altrimenti vado troppo ‘fuori’ con la testa”. Canta bene, racconta, ma non suona strumenti. Vuole imparare a maneggiare la chitarra per suonare le canzoni di Pino Daniele per cui da un anno e mezzo, dice, “sono entrata in fissa con Pino Daniele, la mia canzone preferita è “Che male c’è”.

Una passione, questa per i grandi classici della musica, che condivide con il carrarino Lorenzo Musetti. “Lo conosco abbastanza, facevamo insieme il Centro Tecnico Periferico, ma non abbiamo mai scambiato musica” rivela.

Per il futuro la strada appare chiara. “Con Alessandro ci stiamo ancora conoscendo, ma ha già bene in mente il progetto e la strada da percorrere. In termini di gioco devo sicuramente automatizzare molto la fase iniziale dello scambio, e questo mi aiuta tanto. Devo costruire la mia identità in campo e so che per me il percorso può essere più lungo rispetto ad altre per il mio tipo di tennis”.

Non stupisce che le sue principali ispirazioni tennistiche siano due rappresentanti, di generazioni diverse, di un tennis pensato più che fisico. “Le mie due preferite di sempre sono Justine Henin e Ashleigh Barty – racconta -. Poi sono ‘malata’ di Roger Federer, mi emoziono troppo guardandolo, ho letto infiniti libri su di lui. Non è solo un fattore di gioco, che è unico, è proprio quello che riesce a trasmettere quando è in campo”.

Di tennis, comunque, ne vede molto. “Soprattutto maschile” ci tiene a precisare. “Mi piacciono alcune cose di Djokovic, la sua mentalità, il suo atteggiamento in campo sono di esempio. E mi sta iniziando a piacere anche Alcaraz, sto guardando tanto anche lui”.

Il suo feeling con il tennis è cominciato con la forza di un colpo di fulmine. “Mi ricordo tutto. Mia sorella giocava, continuava ad asfissiare mia madre perché andassi a vederla. Sono andata, ero la ragazza più pigra del mondo. C’era il muro, c’era una racchetta e una pallina: ho cominciato a colpire come niente fosse. Avevo cinque anni e mezzo, da allora non ho mai smesso di pensare al tennis”.

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