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DONATI: “GIOIA IMMENSA”
“Vittoria dedicata a nonna Dina”

Questo contenuto è stato pubblicato 9 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Gioca bene con il dritto e con il servizio, ma uno dei suoi “colpi” principali potrebbe essere la tranquillità, la serenità, la capacità di non esaltarsi. Certo, dopo il matchpoint contro Santiago Giraldo (battuto 2-6 6-1 6-4), Matteo Donati si è concesso un urlo liberatorio. E’ il più bel successo della sua giovane carriera, ma l’impressione è che sia soltanto il primo. Fino a un paio d’anni fa era il meno noto tra i golden boys del tennis italiano, quattro ragazzi nati tra il 1995 e il 1996 (Quinzi, Donati, Napolitano e Baldi, cui si è aggiunto il “1994” Gianluca Mager). Oggi è la stellina, l’idolo assoluto di un Foro Italico che continua a registrare record di affluenza. Alla prima “vera” conferenza stampa della sua vita ha sorriso, ha risposto in modo didascalico, mostrando una certa riservatezza che talvolta può sfociare nella timidezza. Donati viene da Alessandria, una città che ha dato molto al nostro tennis. E’ lì, sotto la guida di Giuseppe Cornara, che si è formato Corrado Barazzutti. Senza dimenticare il compianto Roberto Lombardi, che sarebbe fiero del lavoro di Massimo Puci, l’uomo che lo ha preso quando aveva 16 anni e ha creato un progetto di giocatore che, chissà, potrebbe anche tramutarsi in progetto di campione. C’era anche Puci in mezzo ai giornalisti, ma non ha cercato clamore. Fedele al suo personaggio, è rimasto in disparte. Ma fu lui a convincere Matteo a cambiare la dinamica del servizio quando il suo allievo aveva 17 anni. Prima manteneva i piedi distanti, un “platform” alla Boris Becker. Adesso avvicina il piede destro al sinistro, un “pinpoint” molto diffuso nel tour. E ha funzionato. “Non essendo molto esplosivo, appena arrivai a Bra mi suggerì questo cambiamento – ha detto Donati –. Nei primi giorni non è stato facile, ma ero convinto che fosse una buona idea e in effetti è stato così. Ancora oggi stiamo lavorando sul servizio, è uno dei colpi fondamentali del mio gioco”.

I 45 punti già intascati gli regaleranno il best ranking, portandolo a ridosso dei top-200. Ma oggi i numeri non contano: “La prima sensazione? Gioia immensa. Ero troppo felice della prestazione, sono rimasto tranquillo e ho ben gestito i punti importanti, soprattutto nell’ultimo game quando lui mi aveva ripreso da 30-0 a 30-30. Ho cercato di gestire il punto, essere aggressivo: nel primo set non c’ero riuscito, ma dopo si”. La dedica va a nonna Dina, che gli sta sempre vicino. E chissenefrega se adesso pesca Tomas Berdych, top-10, dieci anni e dieci centimetri più grande di lui. “Sono contentissimo di essere arrivato fino a qui, cercherò di giocare al meglio e capire cosa mi manca per giocare a certi livelli”. Matteo è un ragazzo tranquillo e pacato, da passioni semplici: i libri gialli, la musica commerciale e il Milan. Ma il punto di riferimento è Andy Murray: lo segue da tempo, crede di avere un tennis simile. “I colpi più importanti sono il servizio e il dritto. L’aspetto su cui dovrò migliorare è la prestanza fisica. Sappiamo che la crescita partirà da lì, ci stiamo avvicinando”.

La strada è partita tanti anni fa dalla sua Alessandria, ed era intrisa di destino. Nessuno lo ha davvero spinto a giocare a tennis, se non il fratello maggiore Marco, tre anni più grande di lui. Quando Matteo era piccolo voleva a tutti i costi prendere lezioni, ma gli dissero di aspettare. Appena ebbe 5 anni si tuffò prima al Centro Sportivo Comunale “Gli Orti” e poi alla Canottieri Tanaro, dove si è formato un ragazzo già capace di raggiungere la finale a Wimbledon Junior, in doppio, insieme al ravennate Pietro Licciardi. La svolta è arrivata quando si è trasferito presso il Matchball di Bra, in provincia di Cuneo. Dopo aver portato tra i top-40 uno straniero (Andrey Golubev), Massimo Puci si è dedicato a un figlio dell’Italia, addirittura del Piemonte. “Lavoro anche con Enrico Porro e Marco Gualdi – dice Donati – appena sono arrivato, ho capito che sarebbe stato il posto giusto per me. E spero di restarci ancora a lungo”. Adesso per Donati arriva il difficile: crescere, confermarsi e gestire gli interessi che gli pioveranno addosso. Ha vissuto un antipasto un mese fa al challenger di Napoli, quando ha colto una splendida finale. In tanti hanno capito che questo ragazzo biondo, 20 anni, di Alessandria, potrebbe essere un cavallo giusto su cui puntare

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