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FEDERER SOFFRE MA FA FELICE ROMA
Salva due match point e batte Coric

Questo contenuto è stato pubblicato 5 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

C’è adrenalina nell’aria. Sul Grandstand, pieno come forse mai, la palla rimbomba, il frastuono cresce. E’ un campo che affascina, ancor più se, caso piuttosto raro, scende in campo Roger Federer. Non c’è nessuno o quasi, a parte il suo angolo, che tifi per Borna Coric. I tifosi esultano col pugno al cielo ad ogni occasione, anche sugli errori e sui doppi falli. Si muovono come un’onda che lo svizzero asseconda per due ore e mezza. Salva due match point, l’odio per la sconfitta nel tiebreak del terzo fa la differenza sulla tensione del croato. Vince in rimonta 2-6 6-4 7-6. Coric, che non aveva mai vinto una partita al Foro prima di quest’anno, resta con un grande rimpianto. Il croato ottiene dieci punti in più negli scambi sotto i 4 colpi e 7 in più in quelli tra 5 e 9 colpi. Federer chiude con 4 vincenti in più (33 a 29) e sette gratuiti in più (42 a 35), incide meno con prima, seconda e risposta. La vince di testa, di tenacia. Esce dal Grandstand su una golf-cart e sembra l’apparizione della Papa mobile, circondato da tifosi che la scortano, la spingono, la abbracciano. Federer ha benedetto il Grandstand e lascia sul viale del Foro Italico una scia di gratitudine e gioia.

La rivincita della semifinale di Dubai si gioca in un’aria da corrida, sotto un sole che finalmente benedice il cuore del tennis nel cuore di Roma dopo giorni di pioggia in un autunno fuori stagione. E’ la sesta volta, ma è come se fosse la prima. E’ una partita doppia da giocare con le gambe da mezzofondista e la testa da scacchista. C’è la sfida in campo e quella fuori, da decifrare per capire la prima. Riccardo Piatti e Ivan Ljubicic non sono solo due coach contro. Piatti lo considera un fratello, l’ha allenato, gli ha detto le stesse cose che oggi dice al croato: di fare gioco, di non accontentarsi di aspettare l’errore dell’avversario, di tirare vincenti e non di aspettare.

Piatti sa che Ljubo sa, e viceversa. Ognuno è nella situazione dell’attaccante prima del rigore. Sa che il portiere l’ha studiato, immagina dove tirerà. Le domande si affollano: tiro nell’altro angolo? Oppure lui si aspetta che io cambi, e allora lo sorprendo facendo quello che ho fatto sempre? La moltiplicazione delle variabili trasforma ogni dettaglio in un’indizio, in un gioco di menti, un incrocio di destini in una strana storia.

Federer perde due break nei primi due turni di battuta. E’ nervoso e Coric non è certo l’avversario più agevole. Lo toglie dalla zona di sicurezza, gli gioca al centro, alto e carico sul dritto come gli arrotini spagnoli degli anni Ottanta. Lo allontana senza fretta dal campo e viene avanti, prende angoli e fiducia mentre lo svizzero se la prende con Bernardes e con l’indisciplina del pubblico che affolla il Grandstand, entra anche a gioco in corso e vorrebbe affluire ancora anche se di spazio non ce n’è più.

Coric costruisce il suo vantaggio competitivo nella prima fase della costruzione dello scambio sulla diagonale sinistra. Federer si incarta in dieci gratuiti contro soli due vincenti nei primi sette game. Si fa medicare una vescica sul pollice della mano destra, varia il gioco con le tentazioni dell’azzardo ma in risposta la lontananza dalla palla conduce all’innocuità delle traiettoria. Alimenta il fighting spirit del croato, che ha fatto voto, con tanto di tatuaggio, di non essere ordinario. Tanto nella vittoria, quanto nella sconfitta.

Costruisce una predominanza tecnica e territoriale da subito, vince 22 punti a 10 negli scambi sotto i 4 colpi. In ogni caso, sono i gratuiti di Federer a indirizzare il 6-2 del primo set. Coric chiude con un vincente in più, Federer con due forzati in più ma quasi il doppio dei non forzati (13 a 7).

I tentativi dello svizzero di cambiare col rovescio in lungolinea finiscono depotenziati dal suo abbondante ricorso ai tagli in back come strategia difensiva dall’angolo sinistro, in manovra e in risposta. Gli riesce meno, però, il recupero del centro come avvio della fase di contrattacco. Sente il campo scivoloso, si corruccia e si lamenta. Un bubbolìo insolito che si traduce in energie positive per l’avversario.

Coric, quindicesimo per rendimento al servizio e trentacinquesimo in risposta nelle ultime 52 settimane, spinge con colpi molto più piatti da entrambi i lati, corre di più ma arriva meglio. Tifosi e tifose di ogni generazione, comunque, continuano a sperare in un’inversione di tendenza. Gli angoli e la pazienza si accordano come si può, Coric apre uno spiraglio (palla break sul 2-3 30-40), Federer lo richiude con un regalo che evidentemente perplime coach Ivan Ljubicic. Ma ha il merito di prendersi una seconda occasione con uno dei “Federer moments”, un cross di dritto in corsa che diventa preludio al 4-2. Coric perde il controllo su un dritto scomposto e frontale, e da quel lato se colpisce davanti qualche volta gli succede, consegna il break, si sfianca, manca tre occasioni di controbreak. Senza gambe, Federer allunga al terzo con sei vincenti in più (13 a 7), un gratuito in meno (11 a 12) ma il doppio degli errori forzati.

Coric si rimette a ad arrotare, a giocare il top-spin alto contro il rovescio dello svizzero. Il croato ha vinto in rimonta un quarto delle partite in cui ha perso il primo set. Torna scattante nella transizione dalla difesa all’attacco, fulmineo in risposta. Il terzo set è il migliore del match. Coric vuole vincere, Federer è arrivato fino a questo punto e rifiuta l’idea di perdere. Il tiebreak del terzo spreme emozioni e strategie. Coric ha vinto gli ultimi sei al set decisivo, suo il primo minibreak. Federer ha vinto l’unico giocato quest’anno, a Madrid contro Gael Monfils, e cinque degli ultimi dieci. Lo svizzero va sotto 6-4, salva il primo match point con una palla “morta”, corta e senza peso contro il dritto di Coric, che da lì in avanzamento si perde. Non l’ha usata tanto, la usa quando conta, su un punto che non concede appelli. La dura, Roger, e la vince.

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