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Il Grazie Roma di Djokovic: “Mi ha sempre aiutato, ne avevo bisogno”

Fresco del 6° titolo agli Internazionali d’Italia, il numero uno del mondo spende parole al miele per Roma, torneo che l’ha spesso aiutato a ritrovare la gioia di giocare a tennis. “Settimana perfetta: è la preparazione ideale per Parigi”. In una lunga conferenza stampa – fra inglese e italiano – ha toccato tantissimi argomenti, compresa l’esclusione di russi e bielorussi da Wimbledon. Tirando una frecciatina agli altri big

Questo contenuto è stato pubblicato 2 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

A Monte Carlo ha iniziato la rincorsa, a Madrid ha fatto le prove generali ma non era ancora pronto, mentre a Roma Novak Djokovic ha fatto centro. Di nuovo. Per la sesta volta al Foro Italico, ma soprattutto per la prima volta in assoluto nel 2022, iniziato col turbolento caso australiano ma finalmente felice. Non potevano che essere gli Internazionali BNL d’Italia, nella sua amata Roma che tante soddisfazioni gli ha regalato fin dal lontano 2008, a restituirgli il sorriso, quello vero, quello del numero uno che ha capito di essere tornato, e pronto a volare a Parigi a caccia del terzo titolo al Roland Garros.

Roma – ha detto Nole durante la premiazione, col suo italiano migliorato di continuo – negli anni mi aiutato spesso a ritrovare la gioia di giocare a tennis, a ritrovare le motivazioni in mezzo a momenti difficili. Così è accaduto anche stavolta, e queste vittorie romane non sono casuali, ma frutto del calore e dell’energia e del pubblico italiano, dell’atmosfera che si crea su questi campi”.

Questa  vittoria – ha detto ancora Djokovic – è una sorta di sollievo, specialmente dopo tutto ciò che è successo all’inizio dell’anno. Avevo bisogno di un titolo importante, specialmente con un torneo del Grande Slam alle porte, nel quale voglio giocarmi le mie carte. Non potevo chiedere una settimana migliore: ho vinto il torneo senza perdere un set, e oggi ho giocato un set perfetto”.

A Monte Carlo sapevo di avere bisogno di tempo, specialmente sulla terra rossa per me è sempre stato così. Per raggiungere il livello che desidero mi servono sempre tre o quattro settimane. Non è la prima volta che lo raggiungo a Roma, infatti oltre a sei titoli qui ho giocato anche altre sei finali. È stata un’ottima settimana, mi ha dato tutte le risposte che cercavo. Sono molto contento del livello espresso, e questo torneo rappresenta la preparazione ideale in vista del Roland Garros. A Belgrado ho dovuto metterci il fisico, a Madrid ho giocato meglio ma mi è mancato comunque qualcosa, mentre qui tutto ha funzionato al meglio”.

Vado a Parigi – ha detto ancora – con fiducia, e buone sensazioni sulle mie possibilità. Non mi interessa molto guardare a chi potrebbe avere più chance, ma per il modo in cui ho giocato nelle ultime settimane penso di essere uno dei favoriti. Vado con l’ambizione massima. I tornei del Grande Slam sono diversi: si gioca al meglio dei cinque set e ogni due giorni, vanno approcciati in maniera differente rispetto agli altri. Ma per come mi sono sentito dentro e fuori dal campo nelle ultime settimane, credo davvero di poter andare lontano. Fisicamente mi sento al meglio: lavorando sono riuscito a superare le difficoltà avute a Monte Carlo, e oggi sto benissimo”.

Durante la premiazione, Novak ha voluto dedicare il successo al figlio Stefan, impegnato proprio oggi nel suo primo torneo di tennis. Non sapeva ancora che il suo primogenito l’avesse vinto, come ha scoperto prima della conferenza stampa. “Ho appena saputo – ha detto – che il suo percorso è iniziato bene: ha vinto il torneo. Abbiamo fatto doppietta. Ovviamente si tratta di un piccolo torneino di club, il risultato non ha alcuna importanza. Ma mi piace vederlo giocare e vedere la sua grande passione per questo sport. Ieri sera gli ho dato qualche consiglio, ero curioso di vedere come avrebbe risposto”.

È bello – ha aggiunto –  vederlo interessato al tennis: non c’è mai stato un solo giorno nel quale io l’abbia forzato a giocare, dipende tutto da lui. Se vorrà provarci, da me avrà il massimo supporto. Ma ha solo sette anni, è ancora piccolissimo, non voglio che avverta alcun tipo di pressione. In lui vedo la gioia, l’amore per questo sport, che è quello che muove il 99,9% dei bambini che giocano a tennis. Sono padre di tre bambini meravigliosi, e anche da loro provo a trarre energia, dando benzina al bambino che c’è dentro di me. A volte prendiamo tutto troppo sul serio, dovremmo imparare di più dallo spirito dei bambini”.

Tornando al suo rapporto speciale con l’Italia, Djokovic ha parlato anche della sua passione per il Milan trasmessagli da papà Srdjan, esultando al gol del 2-0 nella partita contro l’Atalanta decisiva nella volata scudetto (“io e il mio manager Edoardo Artaldi siamo pazzi di Milan: speriamo davvero che possa arrivare la vittoria”), e poi è tornato sulla sua prima esperienza al Foro Italico, datata 2006.

“Ricordo che persi con Fognini, sul Campo 2, uno dei più lontani dal Centrale. Fin da allora sentivo gli italiani molto vicini. Sarà una questione di mentalità, di carattere, di gioia per lo sport. E poi ho sempre avuto degli italiani nel mio team. Sono molto orgoglioso e grato per tutto ciò che ho saputo fare nella mia carriera dal 2006 in poi, sono passati quasi 20 anni. È stato un bel percorso, ma guardo avanti. Non sono ancora vicino alla fine della mia carriera: mi sento ancora giovane, e l’età è solo un numero”.

Le mie vittorie più belle fra le oltre 1.000? Direi la finale contro Nadal all’Australian Open del 2012, la più lunga nella storia dei tornei del Grande Slam, e poi quella contro Federer nel 2019 a Wimbledon. Ma ho provato sempre sensazioni forti anche a giocare per il mio paese, con colleghi e amici. In particolare quando abbiamo vinto la Coppa Davis nel 2010”.

Durante la serie di domande in italiano, Djokovic ha offerto anche la sua visione della questione Wimbledon, e della scelta dell’All England Club di escludere i giocatori russi e bielorussi. “In una situazione come questa, uno scenario perfetto non c’è: qualcuno alla fine soffre. Io vengo da un paese nel quale per quattro anni agli atleti di qualsiasi sport non è stato permesso partecipare a competizione fuori dalla Serbia. Conosco bene questa situazione: ho vissuto due guerre, so cosa vuol dire. Nelle guerre non vince mai nessuno, portano solo grandi sofferenze. Detto questo, gli atleti non hanno colpe. Togliergli il diritto di fare il proprio lavoro solo perché vengono da un certo paese è una decisione che non mi trova d’accordo”.

Stuzzicato su un possibile boicottaggio in stile 1973, Djokovic ha lasciato intendere che non accadrà. “Il boicottaggio è una soluzione molto aggressiva – ha spiegato – e secondo me ce ne sono un paio migliori, che possiamo raggiungere. Ma serve più comunicazione. Io oggi non faccio più parte del Players’ Council, quindi non ho contatti diretti con Wimbledon, ma stando a quanto mi dicono i miei colleghi non c’è dialogo, la situazione sembra complicata”.

“Io da sempre supporto l’unione dei giocatori, tanto che la PTPA è nata proprio con quell’obiettivo. Negli ultimi vent’anni ci sono state tante situazioni nelle quali i giocatori potevano far sentire in coro la propria voce, ma non l’hanno fatto, perché il tennis è uno sport individuale e dietro ci sono molto interessi individuali. Per questo è difficile mettere tutti d’accordo, in particolare i top players, coloro che hanno di più da perdere. Non c’è una associazione che rappresenta al 100% i diritti e gli interessi dei giocatori, e credo che in uno sport come il tennis, che è il terzo o il quarto più popolare al mondo, sia necessario. I giocatori devono avere consapevolezza del proprio potere. Molti invece sono neutrali, scelgono di non dire nulla o far parlare le proprie agenzie. Lo rispetto, ma non sono d’accordo. Ci sono situazioni nelle quali è importante far sentire la propria voce”.

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