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L’URLO DI NOLE, QUINTO TRIONFO A ROMA
Djokovic batte Schwartzman e conquista il 36° Masters 1000 in carriera

Questo contenuto è stato pubblicato 4 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Un set di adattamento, in cui recupera due break di svantaggio, un secondo in controllo. In un pomeriggio grigio, di intermittente pioggia sottile che non ferma lo spettacolo, Novak Djokovic riconquista Roma. Vince per la quinta volta agli Internazionali BNL d’Italia, batte 7-5 6-3 un generoso, lodevole Diego Schwartzman e supera Rafa Nadal per titoli nei Masters 1000 (36). Diventa il campione più “agée” a Roma. “Grazie a tutti voi che siete rimasti fino alla fine con la pioggia, siete grandi tifosi di tennis”. Ha ringraziato il team, e scherzato con il coach Marjan Vaida con cui si è divertito a giocare a carte prima della semifinale. “Sei il peggior giocatore di Uno” gli ha detto, mentre la pioggia inizia a scendere sempre più forte.

Trionfa nella settimana in cui ha superato Pete Sampras per settimane al numero 1 del mondo dal 1973, quando è stato introdotto il ranking computerizzato (287). Ha giocato la sua decima finale a Roma, firmando un altro primato. Nessuno aveva trionfato al Foro a 33 anni come il numero 1 del mondo, che ha festeggiato l’81mo titolo in carriera.

Schwartzman, alla prima finale in un Masters 1000, ha provato ad essere il primo a battere Nadal e Djokovic nello stesso torneo dai tempi di un simbolo del tennis argentino, Juan Martin Del Potro alle Olimpiadi del 2016. Il “Peque” allunga a sette la serie di sconfitte su sette partite giocate contro numeri 1 del mondo. David Goffin resta così l’ultimo ad aver superato i numeri 1 e 2 del ranking ATP nello stesso torneo, le ATP Finals del 2017.

Nessuno ha mai sconfitto Nadal e Djokovic nello stesso evento sulla terra battuta, e questo basta a rendere il senso della missione che attendeva il Peque, peraltro provato dalle due battaglie contro il maiorchino e Shapovalov, al Foro Italico.

Schwartzman, il più basso finalista in un Masters 1000, è l’ottavo finalista argentino in questa categoria di tornei dal 1990, quando sono stati ufficialmente introdotti in calendario. Da allora, nessun “albiceleste” ha mai vinto, anche se prima del 1990 si erano imposti Guillermo Vilas (1980), Jose-Luis Clerc (1981) e Alberto Mancini (1989) ch salvò un match point contro Andre Agassi.

Nei primi gane rimane lontano dal campo in risposta. Dà Djokovic palle con poco peso su cui appoggiarsi. Non prende rischi, sftutta l’ampiezza del campo e si prende due break nei primi tre game. Conferma dunque la tendenza della settimana. Nel torneo, infatti, il numero 1 del mondo ha vinto più punti al servizio e in risposta del Peque, che però ha completato più break.

Le maglie rosse dei due accendono il Centrale colorato dai mille spettatori che spezzano il grigio dei seggiolini e di un cielo basso, pesante, scuro. Scendono le prime gocce di pioggia, ma l’arbitro Lahyani fa giocare. Djokovic spinge poco, anche perché il suo non è un tennis di esplosività ma di pressione costante, che asfissia e poi stritola.

Una volta sotto, Djokovic ha l’abilità di cambiare il piano partita. Il numero 1 del mondo fa sentire la presenza del campione. Rimonta da 0-3 a 4-3, controlla le oscillazioni della partita, attraverso le scelte più decise in risposta, l’occupazione del campo e un ricorso più continuo al lungolinea di rovescio, un colpo di proposta e non di semplice manovra. Djokovic sfoglia le pagine meno abituali del libro dei giochi. Sorprende Schwartzman con parabole più lunghe, cerca la misura della palla corta di rovescio, tiene l’argentino al 29% di punti con la seconda nel primo set. Djokovic chiude 7-5 il parziale, colpisce il doppio delle volte rispetto all’avversario con i piedi in campo.

Inizia anche il secondo con un break di svantaggio, ma lo recupera immediatamente con un’autorità e un assoluto dominio dello spazio che anticipano il finale di partita. L’ulteriore indizio arriva dalla smorzata diagonale che illumina il terzo game, prova di una scioltezza libera da ogni traccia anche minima di dubbio sull’esito della partita.

A Schwartzman non resta che provare a giocare più piatto, profondo, verso le righe. Riduce i margini di sicurezza, aumenta i rischi come extrema ratio. Ma non sposta gli equilibri, non cambia il finale. Djokovic può chiudere al terzo match point e inviare il suo classico saluto ai tifosi ai quattro angoli del campo e del mondo.

“Non credo di aver giocato il mio tennis migliore, ma ho trovato il mio tennis migliore nei momenti decisivi contro Ruud e oggi in finale” ha detto prima della premiazione sfoggiando una mascherina con la bandiera serba. “Faccio i complimenti a Schwartzman che ha giocato una settimana eccezionale”.

Djoko pentacampione al Foro Italico

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