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LA FINE DELL’ATTESA
La rivincita di Rafa: batte Kyrgios e fa felice Roma

Questo contenuto è stato pubblicato 8 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Seicentottanta. Tanti sono i giorni che Rafael Nadal ha dovuto attendere per ritrovare sulla sua strada Nick Kyrgios.
E’ stato come non fosse passata nemmeno una settimana. Non si sono risparmiati niente, fino all’ultimo punto, arrivato due ore e quaranta minuti dopo il primo. Rafa, volto contratto e pugno chiuso, si riveste definitivamente della sicurezza che da ormai due anni non gli si vedeva più indossare: 67(3) 62 64, è il punteggio di una rivincita che ha il gusto dolce di una vendetta, anche se Nadal sarà il primo a non volerla definire tale.

Rafael Nadal (Foto Giampiero Sposito)

Rafael Nadal (Foto Giampiero Sposito)

Nick Kyrgios gli aveva inferto una delle ferite più brucianti della sua carriera, sull’erba del Centre Court di Wimbledon che Rafa, all’epoca, calpestava da numero 1 del mondo. Troppo giovane, troppo basso in classifica (era numero 144), troppo sbruffone, troppo irrispettoso: quel primo luglio del 2014, c’è da scommetterci, è una delle date che Rafa vorrebbe cancellare dalla sua memoria. Proprio per quello, non se la dimenticherà mai.

Oggi se la ricordava benissimo, s’è visto nel primo turno di battuta: ceduto di schianto. S’è visto anche sul set point sciupato nel primo set – con una risposta di rovescio contratta e nervosa quanto chi la eseguiva – che sembrava poter condannare Nadal, quando venti minuti dopo perdeva nettamente il tiebreak (7-3, quattro punti di fila persi dal 3 pari) sotto le martellate di Kyrgios. Ma s’è visto anche nella reazione, imperiosa e mossa da un po’ di sana rabbia, che dalle primissime battute del secondo set gli ha permesso di scuotere le certezze – apparenti – dello sfrontato ventunenne che aveva di fronte: il tennis dell’australiano, decontratto e rilassato fino a sembrare indolente, ha iniziato a palesare qualche crepa. Da entrambi i lati Kyrgios sembra non fare fatica: la pallina esce dal suo piatto corde come un raggio laser, a fronte di un movimento rapido, destrutturato, apparentemente privo di appoggi. Ma è un’impressione, perché dallo strepitoso punto con cui ha chiuso il primo set – rovescio in cross strettissimo, diritto anomalo dalla stessa parte, Nadal a metri dalla palla – fino all’ultimo game del secondo, Nick ha accusato. Rendimento al servizio, spostamenti, diritto: tutto è scalato alla marcia inferiore. Certo, l’anca di Nick gli dava qualche fastidio, ma quei 160 minuti in campo non sarebbero stati possibili con un vero problema: “Mi dà fastidio, ma non mi ha dato davvero fastidio”, dice Nick, indeciso se aggrapparsi o meno a una scusa, in una conferenza stampa convocata minuti dopo il match point. Sa anche Kyrgios, tant’è che lo dice subito dopo, che “lui ha giocato bene nei punti importanti, punto”.

Rafa e Nick sono talmente distanti da essere vicini, come l’inizio e la fine di un cerchio. Uno è timido, riservato, allergico alla luce di qualsiasi riflettore che non serva a illuminare un campo da tennis. L’altro è il paradigma dello swag, l’atteggiamento che si può definire un misto tra truzzaggine, spavalderia e incoscienza. Uno gioca all’arma bianca, l’altro fa della pazienza un punto di forza. Eppure, sono reazioni differenti a caratteristiche simili. Entrambi sono nati con l’agonismo nel sangue. In campo, entrambi sono un fascio di nervi: i tic, la tendenza all’ossessivo-compulsivo, la reazione ai punti vinti e persi.

Quando inizia il terzo set, il Centrale freme. In senso letterale: raramente il Foro Italico si è emozionato di più, negli ultimi dieci anni, per un incontro che non fosse una finale o che non vedesse in campo Federer. Gli oltre 10.000 che gremiscono le tribune hanno ragione: i due contendenti sono pieni di lividi – figurati – ma stanno in piedi. E continuano a darsele di santa ragione. La svolta dell’incontro è un game, il quarto, che dura dieci minuti e non si può raccontare. E’ intensità tennistica pura, nel più entusiasmante confronto di stili che riusciate a immaginare: serve Kyrgios, Nadal capisce che può e deve provare a metterlo ko. Nick combatte, impreca, colpisce: il suo diritto a 156 all’ora, che si schianta all’incrocio delle righe ad annullare una palla break, è spaventoso. Semplicemente spaventoso. Ma l’istinto di Rafa non si fa scuotere, e l’ultimo pugno lo assesta lui: un diritto lungolinea, che supera la rete volando sopra i corridoi e rientra, come una curveball da lanciatore di baseball, negli ultimi venti centimetri di campo. Kyrgios è a chilometri dalla palla. Terrà duro fino alla fine, il 21enne di Canberra. La partita la deve vincere Nadal, usando il servizio per chiudere 6-4. Quando ci riesce, glielo leggi in faccia quanto attendeva, quanto voleva questo momento.

Alla fine, Rafa forse se n’è accorto, ha conquistato non solo una rivincita che aspettava da un paio d’anni. Ce ne sono voluti molti di più, dieci, perché il Foro Italico abbracciasse di applausi sinceri, commossi, il Principe timido che su questi campi ha scritto sette capitoli di una storia bellissima. Non ancora conclusa.

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