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Pancho Di Matteo e Ion Tiriac: quella prima storica rissa al Foro Italico

Questo contenuto è stato pubblicato 2 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

La sfida andata in scena il 24 aprile del 1972 fu un duello che infiammò i tifosi. Il rumeno, sconfitto in tre set, venne immediatamente portato via dal campo. Il racconto di quel match, con i ricordi di Di Matteo, nell’articolo pubblicato sullo Speciale Internazionali BNL d’Italia del Corriere dello Sport del 7 maggio 2022

«Vedi – ci disse una volta un vecchio frequentatore dei campi del Foro Italico – la leggenda de] pubblico di Roma, con le sue intemperanze, le monetine in campo, il tifo contro gli avversari dei nostri, non è nata sul vecchio Centrale, con Panatta e compagni. E’ nata sul campo numero 2, è nata con Pancho». E allora torniamo a quel 24 aprile di 50 anni fa, prima giornata degli Internazionali d’Italia del 1972. Da una parte Ezio Di Matteo – detto Pancho perché Erminio Azzaro, campione di salto in alto e marito di Sara Simeoni, gli portò dal Messico un gigantesco sombrero — è romano, ha 23 anni, gioca nel Tennis Club Panoli, ed è uno dei ragazzi cresciuti nel centro tecnico di Formia con Mario Belardinelli. Dall’altra c’è Ion Tiriac, che ha nove anni di più, è un espero combattente della vita, con Ilie Nastase forma una coppia fortissima in campo e curiosa fuori, leggenda vuole che nei primi tempi italiani ingoiassero per scommessa bicchieri di vetro… A Roma è testa di serie numero 16 ed è reduce da un lungo ritiro con la Romania, impegnata in Coppa Davis. «Prima della partita mi si avvicina negli spogliatoi – ricorda Di Matteo — e dice: “Caro Pancho, sono tre mesi che non vedo dollari, mi sono allenato per la Davis…”. “Beato te – rispondo – io i dollari non l’ho mai visti, prendi la racchetta e annamo a giocà». Tiriac vince il primo set 6-4 ma cala vistosamente nel secondo, perso 6-3.

LA CORRIDA. La partita resta equilibrata e il clima diventa acceso, gli spalti si sono riempiti, tutti tifano per il ragazzo di casa, le interruzioni non si contano più, il romeno litiga e discute con il pubblico. «A un certo punto vedo Tiriac che si avvicina all’arbitro di sedia – è ancora Pancho a parlare – e gli dice: “C’è un figlio di mignotta nel pubblico che ce l’ha con me, non va bene”, allora intervengo io, “Uno solo? Ma qua so’ diecimila, giocamo…”». In un clima da bagarre, il nostro riesce a mantenere la calma e chiude per 7-5. “Sul match point — scrisse Alfonso Fumarola sul Corriere dello Sport -Tiriac ha disperatamente rischiato un attacco ma Pancho lo ha inchiodato con un `passingshot’ lungo linea, largo e lento, che è caduto nell’angolino del campo”. Di Matteo salta la rete per stringere la mano a Tiriac, che viene subito portato verso gli spogliatoi, anche per evitare che qualche esagitato possa raggiungerlo. Ezio il giorno successivo superò il francese Chanfreau dopo un’altra battaglia (7-6 al terzo) prima di crollare («ero distrutto, non mi reggevo in piedi») contro un altro transalpino, Rouyer. Al Foro Italico Di Matteo si è sempre comportato bene raggiungendo tre volte il terzo turno (il tabellone allora era a 128 giocatori). «A Roma ho battuto bella gente come Stolle, Riessen, Gottfried. Mi sentivo a casa, e il pubblico mi dava una mano. Per battermi mi dovevano ammazza’».

SOPRANNOMI. Di Matteo resta celebre per i soprannomi che affibbiava ai suoi amici e colleghi italiani. «Panatta era Sofia, stava sempre davanti allo specchio a guardarsi, come la Loren. Bertolucci lo chiamavo Rotolone, Zugarelli Er ciociaro, e Barazzutti… lasciamo perde se no me mena. E poi c’era Pietrangeli, che avevo soprannominato Maritozzo – perché a colazione non ne mancava uno – ma per me era papà, avendogli fatto anche da raccattapalle al Foro». Una bella carriera quella di Di Matteo — ora deus ex machina del Tennis Club Garden -senza rimpianti? «Bisogna sempre guardare avanti, mai indietro. Però, certo, se nascevo dieci anni dopo qualche soldo in più l’avrei guadagnato, io come tutti gli altri. Panatta no, lui i soldi veri li ha sempre fatti…».

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