
Questo contenuto è stato pubblicato 3 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.
Diego Schwartzman argina anche Denis la minaccia. Dopo aver battuto Rafa Nadal nel match-evento di questa edizione, dà vita a una sfida di livello ancora più elevato. Una semifinale in cui c’è tutto quello che rende il tennis uno sport diabolicamente affascinante, cerebrale ed emozionale insieme. Un omaggio al tennis, tre ore di tensione e meraviglia, di forza di volontà e di resistenza. Una sfida che entrambi avrebbero meritato di vincere, che gli spettatori ammessi sul Centrale si godono fino all’ultimo istante di attesa. Chi l’ha vista, come direbbe Paolo Conte, non la scorda più.
Si fronteggiano l’ispirazione e la tenacia, il pensiero e la “garra”, il coraggio e la voglia di spingere il limite ancora un centimetro più in là. Shapovalov sta imparando a gestire le moltitudini di un talento che sgorga spontaneo e la maturità necessaria per non perdersi il filo della partita. Non è più la “cicala” che regala qualche partita di troppo lasciando perle isolate di talento, ma un giocatore che mette l’ispirazione al servizio della strategia. Palese l’effetto Youzhny, una trasformazione radicale segnata dallo striscione di un ragazzino già tifoso sul Centrale. Il suo “Daje Shapo” accompagna la definitiva esplosione del nuovo Shapovalov.
L’argentino la vince 6-4 5-7 7-6(4) e centra la prima finale in un Masters 1000, qui dove un anno fa giocava la sua prima semifinale. Riuscì allora a spingere al limite Novak Djokovic, che domani sfiderà per completare un torneo da favola. Si sono affrontati quattro volte. Il numero 1 del mondo ha sempre vinto. Si è imposto in tre set sul duro, allo US Open del 2014 al primo turno e negli ottavi dell’ultimo US Open. Sul rosso, però, l’argentino l’ha costretto anche a rimontare da sotto due set a uno al Roland Garros del 2017. Djokovic, aiutato anche dalla pioggia dopo il terzo set, a fine partita indicò più volte Schwartzman perché il pubblico lo applaudisse come meritava per la qualità del suo tennis.
Numero 1 albiceleste, è il primo argentino in finale agli Internazionali BNL d’Italia dopo Guillermo Coria, sconfitto da Rafa Nadal nel 2005 nella finale più lunga di sempre al Foro Italico. Quello stesso Coria che quest’anno ha festeggiato il debutto in un Masters 1000 del fratello minore Federico, sconfitto al secondo turno da Matteo Berrettini.
Riuscire a cambiare lo scenario dopo il primo set, sulla terra rossa, contro Schwarzman è un passaggio di tempo. E’ diverso l’atteggiamento del canadese, sicuro e deciso, sciolto e convinto, con quelle pose da cartone animato e la costante sensazione che non sai mai cosa aspettarti.
Per la semifinale, Schwartzman sembra aver predisposto insieme al coach Juan Ignacio Chela, di acuta intelligenza non solo tennistica, una strategia diversa rispetto alla sfida con Nadal. Contro un mancino esplosivo come il canadese, gioca meno piatto e ricerca più raramente il contropiede sulla diagonale sinistra. Nei primi cinque game è un trionfo di regolarità: un vincente, un gratuito, un break di vantaggio. Ma alla lunga lasciare al canadese il comando della partita è una scelta che non paga.
La geometria sarà sempre il mestiere dell’argentino, il giocatore con più punti ottenuti in risposta contro prima e seconda nelle partite vinte tra 2015 e 2019 come rivela Craig O’Shannessy per l’ATP. Ma di fronte alla variabilità immaginifica e non convenzionale, gli schemi non la aiutano. Sul pensiero “out of the box”, fuori dalla scatola, il canadese ha un paio di marce in più.
Shapovalov gioca a tutto braccio, all-in anche accettando qualche stecca. Recupera da sotto 2-5 a 4-5, salva un set point con uno schema alla McEnroe (slice estremo da sinistra e volée a campo aperto), ma non gli basta per girare il set.
Di fronte al contro-pressing di Schwartzman, Shapovalov avanza, accorcia, accelera. L’argentino, a cui per sette game è bastato fare il muro nel primo set, non ha risposte efficaci. Lascia il gioco in mano al canadese e la partita gli sfugge di mano dopo il break del sorpasso per il 3-2 nel secondo set. L’argentino rischia di affondare sotto 2-5, ma rimette in equilibrio il set sul 5-5. Tuttavia è ancora Shapovalov che governa le oscillazioni della partita. Il ritmo è alto, l’argentino assorbe e restituisce con la sua geometria fissa. E’ la fase più tesa del match che fa da preludio a un terzo set da romanzo.
Ha saputo alternare accelerazioni pesanti ed esercizi di morbidezza applicata al gioco. Potrebbe trarre molto vantaggio, questo sì, da un utilizzo più costante della palla corta, che con la sua apertura ampia sarebbe anche in grado di mascherare.
Nel terzo, invece, il gioco è intenso e più schematico. Shapovalov lo sfida da dietro, con meno variazioni, Schwartzman pressa a ritmo costante giocando sempre vicino alla riga. Ordinato, composto, arriva bene sulla palla e Shapovalov deve tirar fuori il meglio del suo repertorio anche solo per non perder contatto. Il suo primo turno di battuta dura undici minuti esatti. Il canadese è un velocista costretto a una gara di mezzofondo, ma la strada la percorre tutta, anche in salita. Un anno fa sarebbe già stato sotto la doccia.
Schwartzman, che è un passista nato, gioca il terzo set meglio del primo. La velocità media a cui si scambia è tale che per entrambi diventa difficile rallentare per poi accelerare. Va sotto di un break, che “Shapo” si guadagna con una serie di scambi mozzafiato, lo recupera con l’aiuto di una risposta sulla riga e di un doppio fallo sulla palla break.
Schwartzman però gli regala di nuovo in break di vantaggio, per la prima volta con almeno tre errori di esecuzione e di concetto nello scambio. Il canadese lo sfida, lo tiene lontano dal campo, lo confonde con qualche colpo più corto o più alto.
Schwartzman non muore mai. La qualità del match resta altissima, il “Peque” arriva ovunque, recupera, rialza, costringe il canadese ad angolazioni con i margini di rischio più esili possibili. Dopo 2 ore e 57 minuti, sul 5-5 15-5 nel terzo set, hanno vinto 103 punti a testa. Un equilibrio più sottile eppure totale non sarebbe immaginabile.
Il tiebreak spreme le emozioni, porta in superficie le tensioni e le ambizioni. Al canadese nei punti chiave viene a mancare il servizio e fa tutta la differenza del mondo, perché a fine match Schwartzman il passista ha vinto solo un punto in più. Ha fatto la differenza negli scambi brevi, ha chiuso con 29 vincenti contro 49 e meno della metà dei gratuiti, 27 contro 58. Con un rendimento così, può mettere paura anche a Djokovic.
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