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SINNER INFIAMMA IL CENTRALE
Rimonta Johnson e sfiderà Tsitsipas

Questo contenuto è stato pubblicato 5 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Nel tennis, gli hanno insegnato, o vinci o impari. Jannik Sinner impara e vince. Vince ribaltando una partita iniziata di fatto nel secondo set. Vince riprendendo il terzo da sotto 2-5, salva due match point. E lo fa senza aspettare l’errore di Steve Johnson. Entra in campo e tira vincenti come se avesse passato tutta la vita a fare solo questo. Come se si fosse immaginato sempre qui, se si fosse preparato per essere pronto a un momento così. Ne vivrà almeno un altro al prossimo turno, contro Stefanos Tsitsipas. La meglio gioventù, per un futuro che è già adesso, per un viaggio che è già un successo.

Vince 1-6 6-1 7-5, porta il pubblico del Centrale in una domenica pomeriggio grigia a un livello di passione quasi estatica che raramente si vede per un match di tennis di un giocatore così giovane. Si vedono ragazzini di nove o dieci anni esultare come avrebbero fatto per Rafa Nadal, Roger Federer o Novak Djokovic. Dopo la partita si ferma a fermare gli autografi a gruppi di tifosi che non sono tanto più giovani di lui e che magari da oggi hanno scoperto qualcuno da imitare, da seguire, da tifare.

L’Italia si desta al Foro Italico, si risveglia dentro un sogno di quelli che non fanno svegliare. Sinner squaderna la certezza di una personalità formata che stride con l’anagrafe, di un tennis in divenire sì ma tutt’altro che acerbo o men che meno casuale. Sa esattamente dove sta andando, sa esattamente come arrivarci. E il valore della prestazione, la capacità di resettare dopo un primo set praticamente non giocato, inducono a un ottimismo consapevole.

Sinner vince 8 punti su 33 nel primo set, prova a far partita ma sbaglia tanto. L’emozione si fa sentire, la differenza rende il primo set una una tappa di apprendimento, una fase di auto-miglioramento. Poi però si scioglie, e anche il diverso approccio nel secondo set conferma la personalità dell’azzurro, indipendentemente dal risultato.

Il dritto è più libero, tiene con l’ace per il 2-1, va avanti di un break e il pubblico del Centrale comincia a sperare. Comincia ad assaporare l’impresa. Sinner lo sa, la assorbe e la restituisce. L’energia diventa velocità di gambe e di palla. Vince perfino un punto in cui scivola venendo a rete ma estrae un riflesso tutt’altro che banale e allora il supporto lo chiede, lo vuole. E allora ci si dimentica anche che non ha ancora l’età per guidare e per votare. Coach Max Sartori, che lo osserva insieme ad Andrea Volpini, lo vede tirare risposte vincenti con i piedi due metri in campo. Per una prima volta in un Masters 1000, la presenza scenica, il carattere, si vedono tutti.

C’è il carattere di chi ha imparato subito a vincere, seppur in un altro sport. Ma ha subito avuto chiaro che cosa volesse dire vincere e cosa servisse per raggiungere la vetta, quel posto solitario a cui tutti aspirano ma che pochi sono davvero in grado di toccare. Perché serve essere disposti anche a fare tutto quello che serve per arrivarci. Perché non è facile, come ha fatto Jannik, lasciare casa e famiglia a 14 anni, trasferirsi a Bordighera e andare a vivere da solo. Non è facile lavorare sul suo gioco, cambiare il movimento del rovescio e del servizio.

Vince 17 punti a 6 sotto i cinque colpi nel secondo set, un indicatore spesso sufficiente a capire dove si sta indirizzando il parziale, o il match, nel tennis moderno in cui la brevità degli scambi è la norma su ogni superficie.

Impara in allenamento e impara in partita, come vorrebbe Riccardo Piatti che supervisiona il progetto più stimolante della sua carriera di coach. Anche se dice fieramente di essere “solo” un maestro che insegna a giocare a tennis. Per imparare, non conta che avversario hai davanti. Se hai davanti il numero 68 del mondo, che però è stato numero 21 nel 2016, un avversario che ha chiuso le ultime cinque stagioni in top 50, provi a fare le cose giuste, a prendere le decisioni corrette. Che sarà, sarà.

Johnson ha vinto più di 25 partite all’anno nel circuito ATP dal 2015 al 2018, è bronzo olimpico in doppio, una leggenda NCAA che al college non faceva che vincere e da pro si è dovuto abituare alla sconfitta per non perdersi.

È un figlio che la vita ha messo di fronte alla prova più grande, alla perdita da cui non c’è rimedio, la morte del padre, il suo primo maestro a cui deve le basi del suo gioco e il senso più profondo del suo essere giocatore. Era un insegnante che ha invitato generazioni di genitori di giovani tennisti a non esagerare con le aspettative, a lasciare che i ragazzi si divertano, a preoccuparsi prima di tutto che diventino brave persone. Perché non è la risposta a tutti i problemi.

È un gioco di equilibri, di emozioni in bilico, sensazioni in prestito, di fugaci certezze e dubbi con cui convivere. Dubbi che Sinner maschera con una condotta più spavalda, una palla più fluida, veloce. La partita gira sulle palle break di inizio terzo set: l’azzurro non le sfrutta, e non le gioca benissimo, Johnson fa virtù di cinismo e allunga 3-1.

I 18 vincenti di dritto a 14, i 10 a due di rovescio, i due punti in più vinti negli scambi brevi misurano due epifanie, due percorsi di creazione del valore. Misurano l’inizio di una grande storia.

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