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Passione Murray: “L’Italia un esempio per le altre nazioni”

Andy Murray (foto Getty)

Questo contenuto è stato pubblicato 3 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

La parola passione ha a che fare con la sofferenza, con il patimento. E insieme con il tendere verso un obiettivo, con la forza che guida verso le grandi imprese. Si ritrovano entrambe in Andy Murray, stanco e insieme soddisfatto, orgoglioso e sofferente dopo le prime due ore consecutive di allenamento al Foro Italico. La prima con l’argentino Diego Schwartzman, la seconda con il cileno Christian Garin, battuto da Matteo Berrettini a Madrid dopo essere stato in vantaggio di un set e di un break.

Come aveva preannunciato, è venuto a Roma per allenarsi. Per capire a che punto è il suo percorso di risalita verso il livello che vorrebbe raggiungere. Non pensa solo al Roland Garros, ci ha detto in un’intervista al termine delle sue prime due ore sulla terra battuta romana.

“Penso di aver fatto abbastanza bene, è il mio primo allenamento in queste condizioni, con il caldo e i rimbalzi alti” ha detto Murray, che nelle ultime settimane ha lavorato sei giorni alla settimana al National Tennis Centre, il centro tecnico nazionale della federazione inglese. “Ci vogliono tante sessioni così per ritrovare sensazioni” ha spiegato Murray, che ammira Roma e l’Italia.

C’è una struttura di tornei incredibile, un gran numero di Challenger, poi ci saranno le Next Gen ATP Finals, le Nitto ATP Finals, la Davis. La federazione italiana ha fatto un ottimo lavoro. L’Italia è un esempio adesso per le altre nazioni” ha spiegato.

Numero 113 del mondo, Murray non guarda al livello degli altri giocatori. Non è su quello che misura i suoi progressi. “Cerchi di migliorare soprattutto per te stesso” spiega.

Andy Murray (foto Getty)
Andy Murray (foto Getty)

Per farlo, utilizza anche un vettore GPS che indossa su una sorta di speciale canotta e serve ad avere in tempo reale i dati sui movimenti nel campo e su parametri come la velocità. Molto diffuso tra i calciatori della Premier League, nel tennis si vede ancora poco. “Se fossi un allenatore, vorrei che i miei giocatori lo usassero sempre” ha detto Murray, che in questo modo ha potuto permettere al suo preparatore, distante per via del COVID, di monitorare il suo allenamento e i suoi progressi giorno dopo giorno.

“È importante capire che tipo di lavoro stai facendo, perché a volte in campo hai determinate sensazioni poi però ti accorgi che sono sbagliate” ha ammesso.

Fa riferimento, ad esempio, agli scatti da un estremo all’altro del campo con cui ha concluso i due allenamenti. “In carriera, non sono mai andato oltre i 7,5 metri al secondo – dice -. Dal momento dell’operazione, il massimo era 7,1 m/s. La scorsa settimana stavo sui 6,6. Oggi ho raggiunto i sette. E’ un miglioramento, ma se non avessi visto i dati avrei pensato di essere stato lento e non sarei stato contento – ha detto -. Sicuramente non mi muovo come sei anni fa, ma ci sono più vicino. Ed è una cosa buona”.

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