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Le parole del tennis — i migliori racconti

Un torneo da… sogno

Questo contenuto è stato pubblicato 7 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Nell’istante stesso in cui colpì la pallina chiuse gli occhi. Tutto lo stadio ammutolì e sembrava fosse diventato di pietra come le statue che, imperiose, dominavano dall’alto quel campo dalla scenografia unica, più vicino per suggestione ai Fori imperiali che a Flushing Meadows. Dall’altra parte della rete anche il suo avversario sembrava immobile aspettando quasi un segno da quel cielo che si era fatto, di ora in ora, sembra più scuro. La pallina, con le ultime energie rimaste in quel rovescio in slice, arrivò fino al net, sembrò danzare per qualche interminabile frazione di secondo e, poi, beffarda, non riuscì a spingersi oltre e ricadde nel suo campo. Ora era davvero finita. Mentre gli spettatori riprendevano vita prorompendo in un fragoroso applauso e il suo avversario lanciava a terra sfinito la racchetta lui, piano piano, alzò lo sguardo e si rese conto di aver perso. La partita e la sua grande occasione. Dopo una vita di tornei sui campi più sperduti, di partite che non trovavano eco neppure nei trafiletti dei giornali locali, quando ormai si era rassegnato all’anonimato del giocatore di Quarta categoria ecco che si erano aperti per lui palcoscenici inaspettati. Tutto grazie al torneo “perfetto”. Già il nome “Road to Foro” gli era sembrato di buon auspicio. Al vincitore, infatti, si sarebbero spalancare niente meno che le porte del Foro Italico. Un sogno nel sogno se non fosse che, viste le sue credenziali, non partiva certo tra i favoriti. Si avvicinava ormai sempre di più agli… anta e nelle articolazioni iniziava a sentire i postumi di una vita trascorsa sui campi al caldo, al freddo, perfino sotto la pioggia per quella sua inguaribile passione che, anche a detta degli amici, sembrava quasi una malattia. Lui, invece, quando era in campo si sentiva in pace con se stesso e dimenticava come per incanto tutto: assaporava ogni istante, dalla terra rossa che colorava i calzini bianchi, al sudore che gli rendeva la maglietta quasi una seconda pelle, dalla cura meticolosa, a tratti maniacale, nel preparare la sacca al profumo nell’ aprire un tubo nuovo di palline. E poco importa se, in carriera, le sconfitte erano state molte di più dei trofei da esporre nel ripiano alto della sua libreria e se il suo gioco fatto di tocchi e smorzate venisse considerato “sorpassato” di fronte all’impetuosità del tennis “boom boom” dei ragazzini. Poi, come detto, arrivò quel torneo dal nome importante e iniziò la sua settimana perfetta. Dal primo turno alla finale tutto gli riuscì con una semplicità disarmante di cui neanche lui riusciva quasi a capacitarsi e, uno dopo l’altro, giocatori ben più accreditati dovettero arrendersi al suo serve and volley spumeggiante che gli valse un biglietto per gli Internazionali di Roma. Non da spettatore, ma da protagonista seppur in un torneo parallelo. Non ci credeva ancora mentre, in treno, si avvicinava alla meta: aveva preparato con cura ogni dettaglio per non lasciare nulla al caso in quella che rappresentava la sua rivincita contro tutto e tutti. Ma quando era entrato in campo al Pietrangeli le gambe avevano iniziato a tremare, la racchetta sembrava pesare in mano come un autentico macigno e quei movimenti che, dopo anni e anni di pratica consolidata ormai facevano parte del suo dna, stranamente gli risultavano impacciati, quasi fosse la prima volta che giocasse. E il solo alzare lo sguardo verso il pubblico accresceva quello stato di febbrile empasse in cui anche la salivazione risultava azzerata quasi da non riuscire a rispondere durante il sorteggio in cui il suo avversario gli parve un supereroe, di quelli predestinati dal fato alla vittoria: giovane, bello, con un palmares di successi lungo quanto le sue… sconfitte. L’inizio del set sembrava confermarlo tanto da scorrere via in un monologo a senso unico. Poi, durante un cambio di campo, con l’asciugamano a coprirgli il volto, si era detto che non poteva finire così. E, come per incanto, aveva ritrovato i suoi colpi, le gambe avevano ripreso a correre instancabilmente in quel campo… Infinito e la racchetta a disegnare traiettorie dalla precisione millimetrica. Così la partita aveva cambiato volto e, un set pari, sull’orlo dell’equilibrio si era spinta fino a quel fatidico tie-break e a quell’ultimo punto che aveva segnato la fine di un sogno. Lo stadio si era svuotato, ma lui non riusciva ad alzarsi dalla sedia su cui era sprofondato insieme con la sua delusione, cocente e totale. “Ho perso anche io, capita”: improvvisamente una voce risuonò al suo fianco rompendo quell”assordante silenzio. Alzò gli occhi e vide accanto a lui quel Campione che tutti sognavano, l’ex numero 1 del ranking mondiale che gli stava parlando. “Andrà meglio la prossima lotta ” continuò e gli diede una mano per aiutare a rialzarsi: poi in silenzio tutti e due presero la via degli spogliatoi. All’improvviso si ritrovò da solo e pensò di essersi immaginato tutto e che fosse stato solamente un sogno: ma, a volte, anche i sogni diventano realtà o la realtà si trasforma in favola. Da vivere e da raccontare poi per renderla ancora più bella oppure da conservare gelosamente nell’album dei ricordi.

Paola Ambrosetti

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