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Uno come Shapovalov
non si è mai visto. O quasi

Questo contenuto è stato pubblicato 6 anni fa. Potrebbe essere riferito ad un’edizione passata degli Internazionali d’Italia.

Parlando di Denis Shapovalov, nome che in poco più di un anno di professionismo è già diventato celebre in tutto il mondo, vale la pena ricordare un paio di cose. La prima: dieci giorni fa non aveva ancora vinto una singola partita ATP su terra battuta. La seconda: fino a dicembre, avrebbe potuto prendere parte al circuito under 18.
Sono fatti che è bene tenere a mente, mentre lo ammiriamo macinare avversari e statistiche in maniera letteralmente impressionante, mentre facciamo l’abitudine al suo tennis irresistibile e alla sua andatura dinoccolata. Durante la conferenza stampa, nemmeno un’ora dopo il match point che ha chiuso per 16 63 76(5) il suo incontro di primo turno contro Tomas Berdych, Denis è venuto a sapere che con questa vittoria sarebbe diventato il nuovo numero 1 canadese. “Davvero?!” ha risposto con fare incredulo alla giornalista che gliel’ha rivelato. “Non lo sapevo”, ha proseguito, prima di fare un’altra pausa e aggiungere: “Sono un po’ sotto shock è abbastanza pazzesco”. Dopo la vittoria della scorsa settimana contro il connazionale Milos Raonic – con cui condivide, oltre all’amore per la propria bandiera e all’obiettivo di vincere la Davis, anche il fatto di essere nato all’estero – e il successivo piazzamento in semifinale, si è presentato in Italia come numero 29 del mondo. Sarà almeno tre posizioni più in su, dalla prossima settimana. Tutto ciò, per uno che nasceva nell’aprile del 1999, lo shock è comprensibile: “Sta succedendo tutto in modo estremamente veloce”, ha riconosciuto di fronte alla ventina di giornalisti che sono accorsi alla sua conferenza stampa, priva di preavviso.

Dev’essere sembrato lo stesso anche a Tomas Berdych, che dopo un primo set vinto in totale tranquillità, pensava senz’altro di proseguire la sua tredicesima partecipazione agli Internazionali BNL d’Italia (semifinalista nel 2013). Invece, meno di due ore dopo, si ritrovava a congratularsi con un avversario che aveva appena giocato due set con il portamento del campione. Un break sul 2-1 del secondo set aveva segnalato che Denis aveva smaltito le scorie madrilene, aveva preso confidenza con il campo e si accingeva a cambiare inerzia al match. Al di là dei vincenti di rovescio da applausi, non si contano i punti vinti con lucidità tattica, grazie al servizio e al diritto mancino utilizzati in maniera simile a Nadal, ai cambi di direzione mai casuali: sul 5-3, per chiudere il secondo set, ha vinto un gioco andato ai vantaggi tre volte, costringendo Berdych all’errore con grande sapienza. Nel terzo, ha tenuto per due volte il servizio per salvare la partita, sul 4-5 e sul 5-6, trovandosi anche a due punti dal baratro. Ha vinto i due punti successivi senza che il suo linguaggio del corpo facesse una piega, esattamente come ha fatto quando si è ritrovato 5 punti pari al tiebreak dopo averlo condotto per 4 a zero – punteggio raggiunto grazie a un quarto punto sensazionale, vinto dopo aver risposto con un rovescio piatto ad una prima a 207 all’ora dell’ex Top 10 ceco. Ha chiuso con due punti ottenuti con il rovescio, facendo esultare un Centrale che già lo adora.

Tra le tantissime cose che Denis sta facendo per la primissima volta quest’anno, c’è anche questa visita a Roma. C’è l’ingresso prepotente tra i primi 30 giocatori del mondo. C’è la preparazione off-season di una stagione intera da professionista ATP: “Dopo l’ultima trasferta dello scorso anno, ho iniziato a sentire la mancanza di casa” ha ammesso Denis, parlando con una sincerità e una lucidità che impressionano quasi quanto il suo rovescio mancino: Mi sentivo fuori luogo sul circuito, mentre i miei amici iniziavano a prepararsi per il college io mi trovavo già tra giocatori molto più grandi, non mi riuscivo ad ambientare. Poi durante la preparazione invernale mi sono seduto al tavolo con il mio team e ho cambiato prospettiva: questo è il mio lavoro, ciò che ho scelto di fare e ciò per cui ho faticato. Ora mi diverto, anzi lo adoro.” Sembrano le parole di qualcuno che ha vissuto qualche anno in più di diciannove.

Il suo gioco spettacolare è già celebre, reso indimenticabile da un rovescio mai visto sulla faccia della terra. Viene da chiedersi che tipo di articolazione possa avere sulla spalla sinistra, per riuscire a salire costantemente a una sola mano sopra la pallina pesantissima di professionisti alti 10 centimetri più di lui, pesanti 15 chili più di lui. E che tipo di eccezionale maestra di tennis possa essere Tessa Shapovalova: “Il coach che mi ha seguito fino al professionismo (Adriano Fuorivia, canadese di origini calabresi, ndr) mi ha fatto lavorare e migliorare tanto. Ma il mio rovescio, e tutta la mia tecnica, sono di mia madre”. A Madrid, per citare qualche dato numerico grazie alle rilevazioni di Hawk Eye, il suo diritto viaggiava a una velocità media di 134 chilometri l’ora; il suo rovescio, a 124. Per fare un paragone, Thiem si è fermato a 133 sul diritto e 123 sul rovescio.
“Non ho davvero grandi aspettative su me stesso su terra battuta. E’ la mia superficie meno gradita e sto ancora imparando” diceva meno di dieci giorni fa a Madrid, di fronte a uno sparuto gruppo di giornalisti. Questo fenomeno venuto al mondo a Tel Aviv, di sangue russo e identità canadese, sembra avere ciò che si portava appresso un altro mancino anomalo e precoce, John McEnroe, quando quarant’anni fa sorprendeva il mondo centrando le semifinali di Wimbledon senza nemmeno essere professionista. No, non la spocchia. Piuttosto, l’aura del predestinato.

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